La posta in gioco politica nel referendum sul taglio del numero dei parlamentari, la crisi dei partiti e delle vecchie forme della rappresentatività. Il Riformista ne parla con uno dei più autorevoli storici e studiosi della sinistra italiani: Massimo L. Salvadori, professore emerito all’Università di Torino. Tra le sue innumerevoli pubblicazioni e saggi, ricordiamo i più recenti: Le ingannevoli sirene. La sinistra tra populismi, sovranismi e partiti liquidi (Donzelli, 2019); Storia d’Italia. Il cammino tormentato di una nazione. 1861-2016 (Einaudi, 2018); Lettera a Matteo Renzi (Donzelli, 2017); Democrazia. Storia di un’idea tra mito e realtà (Donzelli, 2016). Democrazie senza democrazia (Laterza, 2011).
Professor Salvadori, a settembre, oltre che in 6 Regioni, coronavirus permettendo, si vota anche per il referendum sul taglio del numero dei parlamentari. Qual è in proposito la sua opinione?
Il problema del taglio dei parlamentari è un problema reale, è un problema credo anche sentito nel Paese. Non a caso era anche al centro della riforma proposta dal governo Renzi, quando Renzi avanzò la sua proposta di rammodernamento delle istituzioni parlamentari. Il fatto è che se il problema del taglio dei parlamentari, che effettivamente sono sovrabbondanti in Italia, non è qualcosa di campato in aria o aria fritta, occorre però dire che il modo in cui i sostenitori attuali del taglio dei parlamentari affrontano la questione – per inciso, sarebbe stato meglio puntare sull’abolizione del Senato anziché sul taglio dei parlamentari alla Camera – è estremamente pasticciato, perché, come è stato notato da molti, se si tagliano i parlamentari e contemporaneamente non si procede a una revisione dei collegi, il taglio dei parlamentari risulta un elemento che scombina in realtà il rapporto fra elettori ed eletti. I fautori attuali di questa riforma sono davvero dei grandissimi pasticcioni, questa è la conclusione che a mio giudizio occorre sottolineare. Se si andrà a votare, perché occorre fare i conti con il coronavirus tutt’altro che debellato, mi sembra probabile che il taglio dei parlamentari sarà votato dalla maggioranza degli elettori, con le conseguenze che sono note a tutte, di fare un grandissimo pasticcio.
Esiste comunque, al di là del referendum e del suo esito, un irrisolto problema della rappresentatività. La nostra democrazia si è fondata sul sistema dei partiti, ma oggi cosa resta di quel sistema?
Il sistema dei partiti è completamente scombinato, anzi più che scombinato: la crisi dei partiti che rappresentarono l’ossatura portante della prima Repubblica è iniziata già alla fine del secolo scorso, e si è accentuata con l’avvento del berlusconismo, e si è trascinata fino a oggi. Quella crisi è un altro problema, perché anche qui continuiamo ad avvolgerci in un altro, enorme pasticcio.
Vale a dire?
Attualmente, come la destra continua ad alta voce continua a gridare, ci troviamo di fronte a un’alleanza di governo che ha come unico, vero comun denominatore il desiderio di fare barriera alla destra Salvini-Meloni, con l’appendice berlusconiana. Ma questa alleanza di governo, 5 Stelle e Partito democratico, è un’alleanza che, come stiamo vedendo in questi giorni, è talmente debole, talmente fragile, talmente contraddittoria che in vista delle prossime elezioni regionali, 5Stelle e Pd vanno ciascuno per conto proprio con il risultato di favorire la destra. Questo rapporto complicato, contraddittorio, traballante tra pentastellati e dem, non è il frutto di peccati soggettivi dei 5Stelle da una parte e del Partito democratico dall’altra, è il frutto di una disomogeneità organica fra queste due forze, nonostante Zingaretti e chi con lui nel Pd voglia fare intendere che in realtà c’è una possibilità di andare ad un’alleanza che si prolunghi nel tempo e che dà una prospettiva al futuro della nostra Repubblica. Ma questi nel migliore dei casi sono pii desideri. Perché quell’alleanza, è un’alleanza che è minata alla radice…”.
Da cosa è minata, professor Salvadori?
Da tante cose, e prima fra tutte, dall’incompatibilità di fondo fra i due elettorati, fra le mentalità e le culture politiche di questi due partiti, i quali si affannano a offrire una immagine che non corrisponde alla realtà. Detto questo, poi, bisogna stare molto attenti al fatto che l’attuale situazione parlamentare è minata ormai da tempo – il che si riflette sulla solidità dell’alleanza tra 5Stelle e Pd – dal fatto che il Movimento 5 Stelle è sovrarappresentato, in maniera drammatica, da un numero di parlamentari che non corrisponde più al consenso elettorale. Un partito che aveva superato il 30% e ha ottenuto di diventare di gran lunga il primo partito in Parlamento, è un partito che oggi continua a spadroneggiare senza avere ormai più alcuna corrispondenza: lo sanno tutti che questo Parlamento è un Parlamento non più rappresentativo, il che ovviamente offre un argomento molto forte e mi permetto di aggiungere legittimo, alla protesta della destra contro l’attuale situazione parlamentare che si riflette poi nell’esecutivo. Abbiamo visto Conte sbracciarsi per esortare in vista delle elezioni regionali i due partiti che formano la maggioranza di governo, a stringere un’alleanza nelle Regioni, ma il fatto è che nessuno gli bada. Crimi gli ha risposto malamente, con il risultato, per usare una stupida espressione ma ormai corrente, di creare una prateria per la destra nelle prossime regionali. È inutile provare a chiudere gli occhi: avranno un risultato che non potrà restare a livello regionale, ma che si rifletterà inevitabilmente a livello parlamentare e di governo, aprendo così una situazione estremamente delicata che non si vede come possa avere una soluzione. Noi ci troviamo in una crisi strutturale, organica, del sistema dei partiti, che in realtà poi non sono più i partiti organizzati delle varie correnti popolari coinvolte nelle strutture dei partiti. I partiti oggi sono delle strutture in mano a piccoli gruppi oligarchici, e non c’è nessuno che si sottragga a questo, i quali non possono che suscitare vento a favore del populismo. Non posso sottrarmi ad una conclusione di allarme: vedo una situazione sottoposta a un grande stress, e non è un caso che chi è molto allarmato guardi all’ex presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, come al salvatore della patria. Ora, Draghi è un uomo di primissimo ordine, ma certamente non possiede la bacchetta magica di fronte a una situazione partitica come questa, per fare miracoli. Oltretutto, abbiamo di fronte un altro elemento fortemente critico…
A cosa si riferisce?
All’elezione, l’anno prossimo, del presidente della Repubblica. Il capo dello Stato, negli ultimi anni, a partire da Napolitano, era stato un soggetto in grado nei momenti di maggiore pericolo e crisi, di creare quelli che sono stati chiamati i “governi del Presidente”. Ma adesso, punto di domanda, qual è la figura dotata di un carisma paragonabile, qual è la figura che si va stagliando nell’ambito della nostra classe dirigente che possa assumere nelle proprie mani con un’autorevolezza non sfidabile, il problema di costituire dei governi che stiano in piedi? Nessuno lo vede. Forse uno potrebbe pensare, per ritornare a Draghi, che a un certo punto ci si possa mettere nelle mani del presidente Draghi, ma è pensabile che gli attuali partiti di destra e i grillini, possano pensare a Draghi presidente? Lo potrebbe pensare il Partito democratico, ma credo in solitudine. Può darsi che mi sbagli, ma purtroppo non credo.
In ultimo, vorrei che tornassimo al tema iniziale della nostra conversazione. In un’intervista a questo giornale, Mario Tronti ha sostenuto che al fondo del referendum sul taglio dei parlamentari, c’è l’irrisolto scontro tra politica e antipolitica. È anche lei di questo avviso?
Non c’è dubbio che l’intento delle forze che mirano alla riduzione dei parlamentari, ha un sottofondo, ed è un sottofondo che è rappresentato sia dal populismo di Salvini e della Meloni da un lato e dei grillini dall’altro, ostile ai meccanismi e ai valori della democrazia liberale, non a caso i “salviniani” sono entusiasti e partigiani delle politiche alla Orban, e i 5 Stelle hanno nel loro dna, in quello che li ha prodotti e li ha portati sulla scena politica e che ha consentito loro di coagulare un ampio consenso, sono coloro che hanno levato il grido vaffa…, urlato dal loro capo, Grillo. Certo che c’è un elemento di antipolitica. Ma non basta dire di antipolitica, bisogna dare gli aggettivi. È un’antipolitica rivolta non contro la politica di un certo tipo, ma alla politica di un altro tipo, e cioè la politica che affonda le sue radici nei valori e nei meccanismi tipici della democrazia liberale e parlamentare. Non è un caso che l’antiparlamentarismo costituisca un elemento di fondo che accomuna per un verso la destra e per l’altro verso i grillini, anche se, i grillini, ma non solo, nelle loro giravolte accentuate che hanno dimostrato di essere capaci di fare, hanno imparato a servirsi brutalmente dei meccanismi parlamentari rappresentativi per fare la loro antipolitica, innalzando la bandiera, accomunandoli alla destra, sulla riduzione dei parlamentari, senza preoccuparsi minimamente dei risvolti che questo referendum unilaterale può determinare nel rapporto tra eletti e corpo elettorale.
Unilaterale, perché?
Perché è un referendum che invita a tagliare i parlamentari senza preoccuparsi delle conseguenze costituzionali di questo taglio.
Professor Salvadori, una definizione da “medico”. Il sistema democratico italiano è un malato irreversibile o è ancora curabile?
È un meccanismo profondamente malato. Se si possa salvare o no, quel che si possa salvare o che non si possa salvare, è affidato ad un futuro che sarà l’espressione di ciò che le forze politiche italiane saranno capaci di fare, ma l’arte della previsione è propria dei maghi ed io non mi soffermo su quest’arte.
