L’intelligenza artificiale entra sempre più spesso nel campo della salute, e ora si affaccia anche nella cura dei disturbi psicologici. Un recente studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha valutato l’efficacia di Therabot, un chatbot basato su modelli di intelligenza artificiale generativa, utilizzato per supportare persone con depressione, ansia e disturbi alimentari.
I risultati sembrano incoraggianti: dopo quattro e otto settimane di utilizzo, i partecipanti hanno mostrato un miglioramento clinicamente significativo dei sintomi. Tuttavia, la ricerca solleva anche dubbi e lascia aperte alcune domande cruciali. Lo studio ha confrontato gli utenti di Therabot con un gruppo di controllo inserito in lista d’attesa, una scelta che rischia di sottovalutare l’impatto di fattori come l’aspettativa o l’effetto placebo. Un confronto più solido sarebbe stato quello con strumenti “neutri” ma di pari attenzione, ad esempio forum online o gruppi di autoaiuto, che forniscono interazione senza vera terapia.
L’ideale, sottolineano gli autori del commento sull’articolo, sarebbe stato misurare Therabot contro un trattamento erogato da terapeuti in carne e ossa, anche per capire se l’IA può davvero sostituire – o almeno integrare – la relazione umana nella cura psicologica. L’esperimento, pur con i suoi limiti, apre un dibattito importante. L’uso di chatbot per la salute mentale potrebbe offrire un supporto accessibile e a basso costo, in un’epoca in cui la domanda di servizi psicologici supera di gran lunga l’offerta. Ma la sfida sarà dimostrare che l’innovazione tecnologica non si limiti a un effetto momentaneo, e che possa garantire la qualità, l’etica e la sicurezza necessarie quando si tratta della mente umana.
