Tiriamo fuori la bandiera europea: il drappo simbolo di speranza, sacrificio e comunità di diritto che ad EST ci invidiano

Da qualche giorno, sui social europei, scorre un fotogramma: il consueto rettangolo blu, le dodici stelle dorate e la frase “questa è la mia bandiera”. È la reazione alle parole durissime con cui la Strategia per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti tratta l’Europa unita: non più alleato naturale, ma fastidio geopolitico, secondo la visione MAGA che ispira quel testo, un movimento che si considera avanguardia del conservatorismo dell’uomo bianco e vede nell’Europa unita il simbolo del liberalismo globalista da contenere. In quella Strategia, l’Europa è buona se resta vassalla, se non alza la voce sull’ordine economico, sul commercio, sulle tecnologie critiche e – soprattutto – se non rivendica il suo miracoloso modello: l’affermazione dello Stato di diritto come strumento di interazione tra le nazioni, al posto della logica di potenza, della legge del più forte, della minaccia permanente.

L’origine della bandiera europea

Per capire cosa difendiamo quando scriviamo “questa è la mia bandiera”, bisogna tornare all’origine. Il vessillo fu ideato per un concorso di idee indetto nel 1955 dal Consiglio d’Europa, l’organismo nato nel 1949 per tenere insieme un’Europa devastata dalle guerre e dai totalitarismi, per il quale furono presentati 101 progetti. Tra questi, ben 21 erano di Arsène Heitz, impiegato presso l’ufficio postale dello stesso Consiglio d’Europa, e proprio una proposta di Heitz fu infine scelta: sfondo blu e dodici stelle d’oro in cerchio, non il numero degli Stati ma un simbolo di completezza e di destino condiviso. Dietro quel disegno stanno anche riferimenti culturali e religiosi – il blu mariano, la corona di dodici stelle, le dodici tribù di Israele – a ricordare che l’Europa prova a tradurre in istituzioni un patrimonio di simboli e valori che viene da lontano; quella bandiera nasce per tenere insieme ciò che la storia aveva frantumato e per sostituire alla logica dei blocchi la cooperazione e il diritto.

Una bandiera che pulsa di energia vitale

Un simbolo, però, vive nell’uso che ne fanno le persone. Finché la bandiera blu con le dodici stelle la vediamo sui palazzi delle istituzioni, ci sembra fredda come l’aria che in quei palazzi si respira. E non scalda certo il cuore vederla fare capolino sulle targhe automobilistiche, sulle banconote o sui cartelli delle opere finanziate con i fondi europei. Ma se volgiamo lo sguardo a est del nostro continente, verso i confini di Mordor, ci accorgiamo che quella bandiera pulsa di energia vitale. A Kyiv sventolava nella neve di Maidan come promessa di un futuro per cui si era disposti a rischiare la vita. La stessa bandiera è la speranza dei giovani che riempiono le piazze di Tbilisi, sventolata accanto al drappo nazionale per dire che la Georgia non vuole tornare nel cortile di Mosca. Il vessillo ha fatto capolino a Yerevan, in Armenia, e circola clandestinamente in Bielorussia. Per chi lotta sapendo di rischiare manganelli e arresti, quel drappo è speranza, è sacrificio, è il progetto esistenziale di una generazione che non vuol vivere in un’area di influenza imperiale, ma in una comunità di diritto.

Tiriamo fuori la bandiera europea

Se per i ragazzi di Tbilisi e per gli ucraini al fronte l’Europa è un orizzonte da conquistare, per noi è una responsabilità da esercitare: dire “questa è la mia bandiera” non deve ridursi a un post social, significa impegnarsi perché i valori che rappresenta diventino pratica quotidiana, difendendo lo Stato di diritto quando è scomodo e la dignità delle persone quando è impopolare.

Nel documento americano, l’Europa unita è trattata come attore debole, da riportare a somma di Stati docili; l’unico modo per smentire quella immagine non è indignarsi, ma dimostrare nei fatti che l’Unione è capace di pensarsi come potenza politica ed economica. Di fronte a chi vorrebbe ridurla a mera “espressione geografica”, serve una lealtà politica nuova, una militanza europeista che non cancella le appartenenze nazionali ma le include. E la risposta può cominciare da un gesto concreto: continuare a rivendicare quella bandiera online, certo, ma anche esporne una vera, di stoffa, sul nostro balcone, affinché anche i nostri vicini se ne accorgano e ci giudichino per quel gesto, fuori dalle bolle e dal comfort dello smartphone. Esponiamola ed esponiamoci: a est quella bandiera è già sangue e vita, e noi dovremmo vergognarci di sventolarla?