Torna a casa dopo tre anni in ospedale, la storia di Nouri dell’Ajax ci dice di non mollare

C’è un motivo se un manipolo di calciatori se ne vanno (o meglio, se ne andavano: prima dello stop di tutte le competizioni a causa del coronavirus) scorrazzando per i campi di mezza Europa con il numero 34 sulle spalle. Se, per esempio, Justin Kluivert alla Roma e Amin Younes al Napoli hanno scelto proprio il 34. Quel motivo si trova in un pomeriggio afoso a Innsbruck. Alpi austriache, cittadina turistica, dove si va più per la neve e per i panorami pittoreschi che per altro. L’8 luglio del 2017 si gioca però a pallone. Una bella partita: il Werder di Brema contro l’Ajax di Amsterdam. È un’amichevole estiva, pre-campionato.

Al 72esimo minuto un giocatore degli olandesi si accascia lentamente a terra. È Abdelhak Nouri. È chiaro fin da subito che la faccenda è seria. Le immagini sono drammatiche: alcuni calciatori piangono, altri pregano. E infatti il ragazzo è stato colpito da un ictus e soffrirà danni cerebrali permanenti. Da quel momento il 34 di Nouri diventa una sorta di simbolo, una specie di messaggio. Molti calciatori (soprattutto ex-compagni) lo hanno adottato, insieme con l’hashtag #staystrongappie (ci hanno scritto pure una canzone). È tornato virale ieri, quando ha cominciato a circolare la notizia che Nouri è tornato a casa: è cosciente, non autonomo, ma è già tanto visto che i dottori hanno sempre parlato di un recupero non impossibile ma estremamente improbabile.

Nouri, classe 1997, è cresciuto a Geuzenveld. Un quartiere periferico, senza turisti, di Amsterdam. La maggior parte di quelli che ci arrivano lo fanno perché sono tifosi. Dell’Ajax, ovviamente. E perché a Nouri vi hanno dedicato un campetto che è diventato una specie di meta di pellegrinaggio per i lancieri, come ha raccontato Martin Mazur per BBC Sport. Il padre di Nouri, Mohammad, marocchino, faceva il macellaio mentre il figlio giocava in strada imitando Ronaldinho. ‘Appie’, come lo chiamano, è entrato giovanissimo nel De Toekmost, l’academy dell’Ajax. Lì ha conosciuto altri ragazzi diventati come lui dei professionisti, è diventato un numero 10 – classe, giocate, passo svelto, raccordo tra centrocampo e attacco – e uno tra i giovani più promettenti fino all’esordio in prima squadra nel settembre del 2016. Era un talento Nouri, tra i migliori della sua generazione. Era stato anche inserito nel miglior 11 agli Europei under-19 del 2016 e premiato come miglior giocatore nella seconda divisione olandese con l’Ajax B. Ed è stato solo per quel maledetto pomeriggio a Innsbruck se non era tra i muscoli di Matthijs De Ligt e le geometrie di Frankie De Jong, tra i dribbling di Hakim Ziyech e gli inserimenti di Donny Van de Beek; se non era insomma in quell’Ajax di ragazzini che nell’edizione 2018/2019 della Champions League ha fatto uscire tutti pazzi. I tifosi, prima di tutti. Gli amanti del calcio, dopo. E poi Real Madrid e Juventus, eliminate negli ottavi e nei quarti, prima di uscire soltanto alle semifinali.

È quindi un sogno spezzato la carriera di Appie. Finita. Lui, però, si è svegliato dal coma. Dopo quasi tre anni c’era chi non ci sperava più. “Ci prendiamo cura di lui – ha dichiarato il fratello Abderrahim alla trasmissione De Wereld Draait Door – da quando è tornato a casa sta molto meglio. Ha capito dov’è, mangia, ma non può alzarsi dal letto. Dipende da noi, ma nei giorni buoni riusciamo a parlare con lui. A volte si commuove e spesso sorride. E in quelle occasioni apprezzi davvero l’importanza di un sorriso”. La notizia di Nouri a casa, fuori dal coma, è stata ripresa sui social di molti suoi ex compagni, sportivi, appassionati. È stata probabilmente la prima bella notizia degli ultimi giorni assediati dal coronavirus. Ed è proprio questo (forse) il punto: quella di Nouri è la forza di chi non vuole mollare. Anche di fronte alla difficoltà più insuperabile di tutte. Perché anche a questo serve lo sport – oltre che ai muscoli, ai polmoni, alla socialità – serve a dirci che dal tappeto ci si può rialzare, che da un infortunio si può recuperare e tornare più o meno forti di prima, che non si può ridurre tutto a un rigore sbagliato perché non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. Ma dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia. E dalla forza di certe storie. Nouri ci sta insegnando qualcosa di grande. Stay strong.