Trojan, l’ultima beffa che cancella la privacy

Nel gennaio 2019, la legge meglio nota come “spazzacorrotti” ha introdotto il blocco del corso della prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado, indipendentemente dall’esito, sia esso di condanna o assoluzione. Lo ha fatto con uno strano meccanismo “ora per allora”, e cioè differendo la sua entrata in vigore al 1° gennaio 2020, in modo tale da poter approvare nel frattempo una revisione di sistema del processo penale in grado di garantirne la ragionevole durata. All’epoca il Partito democratico votò contro quella norma, per il merito e per il metodo, sollevando persino una pregiudiziale di costituzionalità, con ottime motivazioni che credo rimangano in piedi. Infatti, aprire di fatto all’imprescrittibilità dopo la sentenza di primo grado, significa dare un colpo fatale agli equilibri di uno stato di diritto, dove la pretesa punitiva dello stato ha dei limiti e non è una cappa a cui siamo tutti sottoposti fino a che non si dimostri la propria innocenza. Ma oltre a ciò, questa riforma non risolverà il problema che dice di voler curare, e cioè i tempi del processo, dato che la grandissima parte delle prescrizioni giungono in primo grado, e di queste molte durante le indagini preliminari. Così come le richieste di giustizia delle vittime, e i loro risarcimenti, non saranno soddisfatti meglio, come invece sento dire, dato che l’allungamento prevedibile dei processi interferirà anche sulla celerità delle risposte a chi ha subito un reato o patito un danno. Queste erano le ragioni del nostro no di un anno fa, valide ancora di più oggi. Perché? Semplice. Fra pochi giorni quella norma diventerà legge senza che nel frattempo da via Arenula sia arrivata una chiara proposta organica sul processo penale. Un anno fa il M5s e il ministro Bonafede avevano spostato in avanti la prescrizione considerando essenziale farla precedere dalla riforma del processo, che ne dovrebbe garantire la durata ragionevolmente breve. Oggi che però sul processo non c’è nulla, la prescrizione resta comunque in piedi. Dove sta la coerenza? Eppure il ministro della Giustizia è lo stesso di un anno fa.