Divisivo, sconsiderato, voltagabbana, fumantino, spavaldo, permaloso, prepotente, superbo, egomaniaco: l’elenco degli epiteti poco lusinghieri sul conto di Donald Trump è ormai lungo come una quaresima. E se invece fosse semplicemente un allocco (di talento, of course)? Un giorno gli storici ci racconteranno il suo fattivo contributo al collasso etico-politico e al declino strategico dell’Occidente.
Diceva Madeleine Albright che la lezione del Novecento – il secolo più sanguinoso della storia – è che quando Europa e America agiscono insieme, si promuovono i nostri interessi e i nostri valori più efficacemente di quanto non potrebbe fare ciascuno da solo. Ebbene, il tycoon newyorkese ha letteralmente rovesciato il pensiero della segretaria di Stato durante il secondo mandato di Bill Clinton. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. L’attuale isolazionismo Usa, erede caricaturale della “dottrina Monroe” (1823), rischia non solo di dare il colpo di grazia a equilibri planetari già precari, ma di consegnare il centro del mondo alle ambizioni egemoniche della Cina, cioè proprio al nemico che si voleva ridurre a più miti ragioni.
Un bel capolavoro politico. Come ha osservato Claudio Velardi su queste colonne, il vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco), che si è tenuto a Tianjin, ha infatti dato nuova linfa al progetto di un nuovo ordine internazionale sinocentrico (codificato all’Onu già nel 2023). Trump ha rotto i ponti con l’Ue, non è riuscito ad allontanare di un millimetro Putin da Xi Jinping,
e ha riavvicinato a Pechino l’India, suo tradizionale contrappeso democratico. Anche se, va detto, Narendra Modi ha avuto il buon gusto (a differenza di Massimo D’Alema) di non partecipare a una parata militare che ricordava le esibizioni muscolari di vecchi e tristi tempi.
E, mentre le cinquanta stelle (della bandiera americana) stavano a guardare, non è stato uno spettacolo benaugurante vedere i capi di Cina, Russia e Corea del nord, tre dei regimi più dispotici dell’orbe terracqueo, sorridere in quella piazza Tienanmen in cui, nella primavera del 1989, si consumò una drammatica repressione di ogni anelito di libertà.
La verità è che l’America di Trump si sta mestamente adattando, senza reazioni significative del Partito democratico, a diventare – da culla della democrazia liberale – il letto di Procuste di un cesarismo farsesco. Una sorta di infinita, illimitata, incommensurabile, perenne fiera della vanità di un businessman che, se potesse, come l’imperatore Caligola, non esiterebbe a nominare senatore il proprio cavallo.
Mala tempora currunt, sed peiora parantur.
