Trump e il gioco delle tre carte contro l’Unione Europea

President Donald Trump speaks during a meeting with NATO Secretary General Mark Rutte at the NATO summit in The Hague, Netherlands, Wednesday, June 25, 2025. (AP Photo/Alex Brandon) Associated Press/LaPresse

In Italia, il gioco delle tre carte non è una truffa. Lo ha stabilito la Cassazione con una sentenza del 2019. Per i giudici della Corte suprema il “treccartaro”, infatti, che a Napoli e in altre città si esibisce nei dintorni della stazione per spennare forestieri sprovveduti, non si serve di artifici o raggiri ma soltanto della sua “particolare abilità nel maneggiare le carte”.

Non è una truffa nemmeno in America, dove il suo presidente può cambiare le carte in tavola con i suoi amici e nemici come e quando vuole. E dove il suo gioco d’azzardo sui dazi è legale. Solo che a farne le spese non sono pochi ingenui scommettitori, ma i mercati internazionali e le economie dei sei continenti (Antartide inclusa). Per altro verso, il tycoon newyorkese sfrutta a mani basse le divisioni tra i suoi amici e nemici. La sua vis distruttiva è spesso indecifrabile, ma non fino al punto da occultare la volontà di rompere vecchi equilibri geopolitici per crearne nuovi: più conformi ai suoi umori e interessi personali che a quelli dei cittadini che lo hanno eletto.

La storia di quelle divisioni non è purtroppo fantasiosa. È dimostrata da fatti e circostanze. Ad esempio, dalla lettera con cui ha comunicato a Ursula Von der Leyen la “stangata” sui dazi. Al suo stile molto minaccioso e poco dialogante non è certo estraneo il voto del Parlamento di Strasburgo sulla mozione di sfiducia promossa contro di lei da uno sconosciuto sovranista romeno. Tra favorevoli, contrari, astensioni e assenze diplomatiche, si sono scomposte a livello europeo e nazionale tutte le grandi aree politiche. Un cafarnao, insomma.

In una Ue che l’inquilino della Casa Bianca ormai contesta persino nella sua realtà istituzionale, la reazione di Bruxelles è stata improntata alla prudenza. Il negoziato fin quando è possibile e le contromisure quando saranno necessarie: è la linea della Commissione. Un orientamento sostenuto dal cancelliere tedesco e da Giorgia Meloni, ma non da uno scalpitante Macron. Ritorna così la questione dell’unità europea e quella della ricerca di un’unità d’azione con i grandi Paesi colpiti dai dazi trumpiani: Canada, Giappone, Brasile, India e – perché no? – la stessa Cina.

Fin qui il bacio all’anello del sovrano non sembra che abbia funzionato: sulla tassazione dei colossi tecnologici, come sui budget per la difesa. Dovrebbe essere ormai chiaro che il massimo che si può ottenere da lui è la sua indifferenza, non la sua benevolenza. Forse non sarebbe insensibile, invece, a una decisione di alcuni dei Paesi citati, principali acquirenti dei titoli di Stato americani, di sospendere temporaneamente i loro acquisti. In altre parole, una guerra commerciale, che comunque ha sempre portato sfortuna a chi l’ha iniziata, può essere combattuta su diversi fronti e con diverse armi.