«Una tregua temporanea potrebbe essere possibile, ma, senza accordi precisi, non si potrà parlare di una pace duratura». Il politologo e analista russo Nikolay Petrov, capo del Centro per la ricerca politico-geografica di Berlino e Senior Fellow presso Chatham House, tratteggia le prospettive future relative al conflitto in Ucraina, da una parte tirando le somme del bilaterale fra Trump e Zelensky tenutosi venerdì scorso alla Casa Bianca, dall’altra misurando le aspettative del prossimo faccia a faccia in programma a Budapest tra il leader americano e Vladimir Putin.

Professor Petrov, qual è la sua opinione intorno al recente incontro fra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il leader statunitense Donald Trump? L’ha trovato produttivo?
«A giudicare dalle apparenze, il bilaterale tra Zelensky e Trump del 17 ottobre non ha prodotto alcun risultato, contrariamente alle aspettative di Kyiv. È avvenuto dopo la telefonata tra il tycoon e Putin del giorno prima. Allo stesso tempo, tuttavia, non è risultato nemmeno controproducente, a differenza della prima visita di Zelensky alla Casa Bianca a febbraio».

Dopo Anchorage, Trump sceglie Budapest come luogo del prossimo summit con Vladimir Putin. Per quale motivo, a suo avviso?
«Non credo che Trump sia pronto a volare in Russia, come esigerebbe una vera visita di ritorno. Sia lui che Putin hanno buoni rapporti con Viktor Orbán, e bisogna tenere in considerazione che l’Ungheria si sta ritirando dalla giurisdizione della Corte penale internazionale, che ha emesso un mandato di arresto per il leader del Cremlino. Inoltre, è stato a Budapest che i leader di Stati Uniti, Russia, Regno Unito e Ucraina hanno firmato il Memorandum del 1994 sulle garanzie di sicurezza in relazione all’adesione di Kyiv al Trattato di non proliferazione nucleare».

Durante la telefonata intercorsa giovedì scorso fra Trump e Putin, il leader del Cremlino ha posto, come condizione per la fine del conflitto, la cessione del Donbass. Trump minaccia Zelensky: “cedi il Donbass a Putin o distruggerà l’Ucraina”. Pensa che potrebbe essere accontentato?
«Da un lato, Putin vuole il Donbass; dall’altro, vuole molto di più del solo Donbass. Questa richiesta potrebbe non sembrare eccessiva, dato che le forze russe stanno già, passo dopo passo, conquistando il territorio controllato dall’Ucraina nell’oblast di Donetsk. Eppure ciò sarebbe assolutamente inaccettabile per Zelensky: equivarrebbe a una capitolazione, qualcosa che la società ucraina rifiuterebbe categoricamente. Tuttavia, il rifiuto programmato di Kyiv di accettare questa richiesta, nonostante le pressioni degli Stati Uniti, presenta Zelensky – piuttosto che Putin – come la parte intransigente agli occhi di Washington e contribuisce a prolungare i colloqui, il che è nell’interesse di Mosca».

Zelensky chiede di essere presente al summit di Budapest: “L’ho detto a Trump: sono pronto. Se vogliamo davvero una pace giusta e duratura, dobbiamo esserci entrambi”. Potrebbe verificarsi finalmente un incontro fra Putin e il presidente ucraino?
«Zelensky ha bisogno di un incontro con Putin per suggellare la dimostrazione della sua disponibilità ai negoziati, mentre per Trump rappresenterebbe la prova del successo dei suoi sforzi di pace. Il leader del Cremlino non necessita affatto di un summit del genere ed è disposto a discuterne solo per non irritare Washington. Un incontro del genere non presenterebbe tuttavia alcun contenuto concreto, perché le richieste di Putin sono rivolte principalmente all’Occidente – e soprattutto agli Stati Uniti – piuttosto che all’Ucraina. E mentre Mosca registra interessi sovrapposti e la possibilità di un accordo nei colloqui con gli Stati Uniti, non prevede nulla del genere con l’Ucraina. Putin non considera Kyiv – né, peraltro, l’Europa – come un attore indipendente con cui si possa negoziare direttamente qualcosa di significativo».

Volodymyr Zelensky sollecita “passi decisivi” da parte di Usa, Ue, G20 e G7. La sua richiesta sarà accolta?
«A parte il valore di pubbliche relazioni, appelli di questo tipo non hanno alcun significato reale. In una guerra di logoramento, il tempo gioca a favore della parte con il maggiore potenziale umano, economico e militare – in questo caso, la Russia. Credo che nessuno dei “passi decisivi” – così come li intende Zelensky – sia disponibile nell’arsenale degli alleati occidentali dell’Ucraina. Gli Usa hanno preso le distanze e le capacità della coalizione occidentale sono diminuite. In queste condizioni, una svolta potrebbe essere raggiunta solo con l’ingresso diretto della NATO in guerra con la Russia, il che è estremamente improbabile».

Ritiene che, dopo Gaza, l’approccio di Trump potrebbe garantire un cessate il fuoco anche in Ucraina?
«Un cessate il fuoco temporaneo – più probabilmente parziale (ad esempio, in aria e in mare, come proposto da Putin) piuttosto che completo – potrebbe in linea di principio essere possibile, ma senza accordi preventivi e più ampi sull’architettura di sicurezza europea o addirittura globale – un aspetto su cui Putin insiste – non può durare a lungo e verrebbe rapidamente violato da entrambe le parti. Inoltre, Trump non dispone di quelle leve di pressione su Putin che aveva, ad esempio, nel caso di Netanyahu».