La questione 5G, tutt’altro che banale, impone una riflessione (che temo non ci sia mai stata a livello di governo e certo non c’è stata a livello parlamentare) su quale posizionamento internazionale stia assumendo l’Italia da quando c’è il Movimento 5 Stelle in cabina di comando. E con quali conseguenze per la nostra economia. Dopo il memorandum con la Cina per la Via della Seta voluto dal primo governo Conte, l’Italia ha visto diminuire le esportazioni in Cina dell’1,4% rispetto allo stesso periodo del 2018 (gennaio-ottobre). Al contrario le importazioni di merce cinese in Italia sono lievitate del 4,7%. Nel 2019 il nostro saldo commerciale con Pechino è in rosso per 16,5 miliardi. Sedici miliardi e mezzo di ricchezza prodotta da noi adesso arricchiscono le casse del Paese guidato da Xi Jinping.
L’acquisto da parte cinese di 40 tonnellate di arance siciliane con cui lo scorso aprile si erano aperte le danze della Nuova Via della Seta non erano il segno di una nuova stagione commerciale, ma un piccolo omaggio a quei nostri governanti che ancora oggi restano imprigionati dietro a visioni superficiali o ideologiche non supportate da alcun numero. Se il Movimento 5 Stelle non vuole saperne di riconsiderare l’accordo con Pechino (a proposito: solo il governo Conte in Europa ha firmato il memorandum cinese), sempre il Movimento 5 Stelle – per voce del sottosegretario di Stato, Manlio Di Stefano, – vuole mettere in discussione l’accordo di libero scambio con il Canada (Ceta). Parliamo di un accordo che dalla sua entrata in vigore ha portato all’Italia 438 milioni di esportazioni in più, come sottolineato dal sottosegretario renziano Ivan Scalfarotto in un’intervista al Sole24Ore.
Al netto della diatriba tra i due sottosegretari, il tema non risulta di difficile comprensione anche ai meno avvezzi alla matematica: con la Cina abbiamo perso 16,5 miliardi, con il Canada ci siamo messi in tasca 438 milioni di euro iva inclusa. La materia può sembrare di poco interesse a chi non opera nel commercio internazionale, ma la politica commerciale dell’Italia è un tema vitale per il nostro posizionamento e per la nostra prosperità. Si pensi che lo scorso anno abbiamo esportato in tutto il mondo quasi 500 miliardi di dollari di Made in Italy e che quest’anno, ancora una volta, nonostante la crisi economica interna, abbiamo già incrementato le nostre esportazioni del 2,7%.
In questo contesto è sorprendente la superficialità con cui continua a muoversi questo governo in politica estera. I dazi americani all’Italia – verosimilmente una ripicca degli Stati Uniti per aver firmato la Via della Seta con il loro principale avversario – ne sono un esempio. Eppure sarebbe bastato un po’ di buonsenso in più visto che negli Usa, a differenza che in Cina, esportiamo molto più di quanto importiamo. Nei primi dieci mesi del 2019, infatti, l’Italia ha esportato negli Usa 33,2 miliardi di euro di prodotti italiani. Al contrario gli USA hanno importato da noi 12,9 miliardi di euro di prodotti americani. Guadagno netto per noi: 20,3 miliardi (sempre Iva inclusa).
È dunque lecito chiedere al presidente del Consiglio Conte, al ministro degli Esteri Di Maio, e anche a chi con troppa leggerezza ha deciso di avventurarsi in un campo minato per l’Italia, se è ancora convinto della sua scelta. È sicuro, presidente Conte, che non siate usciti fuoristrada con la vostra politica commerciale ed estera? I 20,3 miliardi di surplus negli Stati Uniti, i 438 milioni di surplus in Canada, ma soprattutto i 16,5 miliardi di rosso nei rapporti commerciali con la Cina, non dovrebbero indurre il governo a rivedere le proprie posizioni? Noi, ovviamente, ci auguriamo di sì. E ci auguriamo anche che la fretta con cui si è spalancata la nostra porta alla Via della Seta non apra in prospettiva le finestre della nostra sicurezza informatica, come sta drammaticamente emergendo in questi giorni.
Quando si è alla guida di un Paese che produce quasi 500 miliardi di dollari di esportazioni è meglio non correre troppo. Esattamente come con le tecnologie come il 5G: se il costo per svilupparle è di mettere anche minimamente a rischio la sicurezza dei dati dei nostri cittadini e la sicurezza della Repubblica, allora è meglio evitare di correre rischi. Anche perché se per non correrli ci dovessimo accontentare delle vostre rassicurazioni all’insegna degli “anni bellissimi” e delle vie della Seta non so dove andremmo a sbattere. Forse contro una scia chimica.
