A Gaza la tregua è stata firmata. All’Università di Genova no. La contestazione prosegue, paradossalmente, proprio mentre Israele si ritira e si ragiona di ricostruzione. Nel rettorato occupato, i collettivi presidiano le aule come se la guerra fosse ancora in corso. È la prova più limpida che i morti palestinesi sono sempre stati un pretesto. La “solidarietà con Gaza” sopravvive alla pace perché serve ad altro: colpire chi non si allinea, chi non sventola la bandiera giusta, chi non usa la parola “genocidio” come intercalare.

Il Rettore Federico Delfino è diventato il simbolo di questa resistenza civile. Non perché appartenga a una parte politica – lo accusano di essere “di area centrodestra”, come se fosse un reato – ma perché non vuole piegare l’università al ricatto ideologico. L’immagine del suo volto appeso a un mirino è lo specchio di un Paese in cui la libertà accademica va difesa dal linciaggio morale. Gli studenti che dicono di volere la pace non tollerano la normalità, non cercano il dialogo, non accettano la complessità. Gli basta imporre la narrazione unica, fatta di slogan e odio. In questo senso, assomigliano molto a quelli per cui dicono di combattere: la causa palestinese è scudo, giustificazione, arma retorica, proprio come Hamas fa con i gazawi.

Ma c’è un ma. L’università è per definizione il luogo in cui il conflitto si sublima nel confronto. Non può diventare un campo di battaglia. La libertà accademica non è un privilegio, ma un principio fondativo della democrazia: o è inviolabile o non esiste. Chi occupa le aule impedendo le lezioni nega i diritti che dice di invocare. E chi trasforma un ateneo in barricata politica ne tradisce la missione formativa. Per fortuna, in questi stessi giorni tre gesti distinti hanno ricordato che la dignità delle istituzioni e il diritto allo studio non si lasciano ricattare.

La lettera promossa da Free4Future, già sottoscritta da oltre mille docenti e cittadini, ha espresso vicinanza al Rettore e richiamato l’università al suo ruolo di “luogo aperto al dialogo, alla ricerca e al confronto civile, mai uno spazio di minacce o di violenza”. Poi la denuncia pubblica riportata dalla stampa locale, che documenta “l’occupazione del rettorato, la chiusura delle aule, l’affissione di ritratti con il Rettore nel mirino e perfino l’apologia di comportamenti violenti sui canali degli occupanti”. Infine ha preso posizione Bruno Gazzo, presidente della Federazione Associazioni Italia-Israele, che ha condannato “la negazione dell’inviolabile diritto allo studio” e ha espresso “pieno sostegno e solidarietà al Rettore Federico Delfino”.

Le iniziative civili, istituzionali e associative sono la risposta di chi difende la libertà dell’insegnamento contro una pratica che, mascherata da causa umanitaria, si comporta come violenza politica, impedisce le lezioni, viola lo spazio pubblico dell’ateneo, espropria il diritto allo studio (sì, proprio quello per il quale una volta si chiedeva al governo di stanziare risorse. Ma che importa, Gaza val bene qualche borsa di studio). La pace, a Gaza o a Genova, non è una bandiera da esibire. È una fatica da praticare ogni giorno – contro l’odio, l’ignoranza e la viltà travestita da militanza. Si dice che “le idee marciano sulle gambe degli uomini”. Come negli Anni di piombo, oggi sono sotto tiro le gambe del Rettore, dei docenti, degli studenti che vogliono pensare liberamente. Per questo difendere Federico Delfino è difendere la nostra libertà. Compresa, perché no, quella di dissentire da lui in futuro.

Carmen Dal Monte

Autore