Veneto, emergenza medici di base. Il personale emigra e i pensionamenti superano i nuovi ingressi

Dal 2010 al 2024, il personale del SSR veneto è passato da 64.800 a 61.200 unità complessive, un calo del 5,5% mentre la popolazione invecchiava e le prestazioni aumentavano del 22%. Il rapporto infermieri per mille abitanti è sceso da 6,2 a 5,8, contro una media europea di 8,8. I medici ospedalieri sono diminuiti da 9.100 a 8.400, nonostante l’apertura di nuovi reparti e servizi.

La Regione ha risposto con misure progressive. Il Piano straordinario assunzioni 2019-2021 ha portato 3.800 nuovi ingressi, ma ha compensato solo parzialmente i 5.200 pensionamenti dello stesso periodo. L’aumento delle borse di specializzazione regionali – da 180 nel 2015 a 420 nel 2023 – ha arginato parzialmente la fuga verso altre regioni. L’introduzione nel 2022 dell’indennità di disagio per le aree periferiche ha stabilizzato alcune situazioni critiche.

Il nodo retributivo resta centrale. Gli stipendi base del personale sanitario veneto sono allineati ai contratti nazionali, ma le indennità accessorie risultano inferiori del 15-20% rispetto a Lombardia ed Emilia-Romagna. La delibera regionale 1708/2023 ha stanziato 45 milioni per equiparare i fondi contrattuali, ma l’effetto sui netti in busta paga resta limitato. Il risultato: oltre 1.200 professionisti sanitari veneti lavorano fuori regione. L’emergenza medici di base è paradigmatica: 800 pensionamenti attesi entro il 2027 su 3.400 totali, con solo 350 nuovi ingressi previsti dalla programmazione attuale. Il PNRR prevede 1.250 assunzioni aggiuntive per il territorio entro il 2026, ma senza riforma strutturale dell’attrattività professionale ed economica, il Veneto rischia di formare personale che poi emigra, vanificando la programmazione regionale.