Venture capital in aumento nella Difesa: così l’Europa prova a inseguire USA e Cina

Gli investimenti di Venture Capital in difesa e sicurezza in Europa hanno raggiunto nel 2024 circa 5 miliardi di euro, pari a circa il 10% del totale europeo (fonte: NATO Innovation Fund/Dealroom). È un progresso importante, ma ancora lontano dai livelli di Stati Uniti e Cina, dove il sostegno al dual-use e alle tecnologie critiche è sistemico da anni. A fronte di una spesa per la difesa nei Paesi NATO europei destinata a superare i 1.000 miliardi entro il 2030, la disponibilità di capitale privato — soprattutto nelle fasi growth e late stage — resta ancora inadeguata.

Secondo Giuseppe Lacerenza, partner di Keen Venture Partners, questo gap ha radici strutturali: «Per molto tempo in Europa investire in difesa è stato quasi impossibile per ragioni di policy e per letture restrittive dei criteri ESG. L’assenza di capitale privato ha spostato tutto il peso dell’innovazione sul settore pubblico. Inoltre, esiste una distinzione cruciale tra finanziare la ricerca e sviluppare poi prodotti accessibili e scalabili. Per rendere l’innovazione sostenibile servono soluzioni tecnologiche prodotte a costi competitivi, come negli Stati Uniti. In Europa abbiamo speso poco, spesso fuori dal continente, e ciò che investiamo internamente finisce in un ecosistema ancora molto orientato al modello “cost plus”, che non stimola né efficienza né competitività».

Keen — oggi tra i principali fondi europei di venture capital interamente dedicati al Defencetech, con sedi a Londra e Amsterdam — nasce meno di due anni fa da un’intuizione condivisa da Alexander Ribbink e Giuseppe Lacerenza: l’evoluzione dei conflitti moderni, evidente sin dalle prime settimane dell’invasione russa in Ucraina, mostra che una parte crescente della competizione militare si gioca su tecnologie scalabili, rapide da sviluppare e spesso vicine al mondo commerciale. «È un cambio di paradigma — afferma Lacerenza — molto diverso dalle piattaforme complesse come gli F-35. Parliamo di tecnologie che passano dal laboratorio alla produzione in volumi in poche settimane. Il nostro team ha puntato sulla necessità di innovare cicli di prodotto rapidi, iterativi ed efficienti, capaci di affiancarsi alle piattaforme tradizionali. Non tutti gli attori industriali europei sono progettati per questa velocità: realtà come Leonardo o Fincantieri restano centrali nell’ecosistema, ma operano su programmi di lungo periodo con logiche diverse».

Il fondo di Keen focalizza gli investimenti su cinque aree principali: sistemi autonomi, AI e cyber security, scalable manufacturing, nuovi materiali ed innovazione energetica, e spazio. «La difesa contemporanea è fatta di sistemi interoperabili e scalabili, capaci di operare in ambienti complessi e prendere decisioni in autonomia. Per farlo servono sicurezza tecnologica, intelligenza artificiale, nuove fonti energetiche e materiali avanzati. Lo spazio è un dominio critico a sé, per definizione duale. Investiamo in realtà che nascono in contesti militari ma con la capacità — e l’ambizione — di estendere le applicazioni al mondo civile». Il recente round da 150 milioni di euro raccolto attraverso l’European Defence and Security Tech Fund segnala che gli investitori istituzionali stanno iniziando a colmare il divario. «L’obiettivo», conclude Lacerenza, «è riportare in Europa la capacità di produrre tecnologia strategica finanziata da capitali privati, che accelerano l’innovazione premiando modelli di business sostenibili e scalabili».

Per quanto riguarda l’Italia, Lacerenza vede un potenziale significativo. «È uno dei mercati più ricchi e interessanti lato PMI. Stiamo osservando la nascita di startup di qualità e l’arrivo di capitali europei consistenti. E non solo in difesa: realtà come Sibill o Fiscozen, che abbiamo sostenuto, mostrano come la tecnologia possa accelerare la crescita delle piccole imprese. A livello culturale, dobbiamo compiere due passi: aprirci maggiormente alla contaminazione internazionale e superare i preconcetti verso il mondo militare, come fanno Paesi più piccoli ma più pragmatici: dalla Finlandia alla Polonia. L’Articolo 5 della NATO ci ricorda che la difesa è un bene comune: interiorizzarlo significa anche investire in tecnologie che rafforzano la sicurezza collettiva. Abbiamo competenze e creatività altissime: è il momento di metterle a frutto».