Pubblichiamo un’analisi di Sergio Talamo, giornalista professionista e docente, Direttore Comunicazione istituzionale e Relazioni con le Pa di FORMEZ PA, già coordinatore del Gruppo di lavoro su Riforma della Comunicazione pubblica e Social media policy nazionale, sullo stato attuale della comunicazione pubblica, sulle prospettive e sulle necessità.
“La comunicazione pubblica cessa di essere un segmento aggiuntivo e residuale dell’azione delle pubbliche amministrazioni, e ne diviene parte integrante, così come accade da decenni alle imprese che agiscono nel mercato dei prodotti e dei servizi”.
“Nello svolgimento delle attività di comunicazione e informazione, così come nella costruzione degli assetti organizzativi delle loro strutture, le amministrazioni devono, inoltre, considerare centrali e decisivi gli strumenti interattivi della comunicazione on line (internet-intranet)”.
“Per consentire il pieno raggiungimento di questi obiettivi, le pubbliche amministrazioni devono dare avvio e sviluppo alle strutture deputate alla realizzazione delle attività di informazione… promuoverne il pieno raccordo operativo sotto forma di coordinamento e attraverso una adeguata struttura organizzativa”.
Comunicazione pubblica come funzione strategica centrata sul digitale, e pieno coordinamento delle strutture organizzative, che devono essere oggetto di investimenti formativi finalizzati alla massima specializzazione. Questi tre concetti, così chiaramente espressi nei brani su riportati, non sono per nulla recenti: risalgono alla direttiva 7 febbraio 2002, cd. “Frattini”. Queste citazioni danno il senso del ritardo ormai storico dell’Amministrazione italiana, che nei successivi 20 anni ha lasciato che la comunicazione al cittadino rimanesse una funzione occasionale o sporadica, non ha affrontato a livello legislativo il nodo delle nuove professionalità digitali ed ha ignorato l’indicazione di coordinare e unificare le attività comunicative, che la legge 150 del 2000 – una normativa pre-digitale – aveva individuato in Portavoce, Ufficio stampa e Urp.
La legge 150 del 2000, frutto prezioso di almeno un decennio di lavoro, fu per l’epoca un grande traguardo. Da essa gemmarono varie iniziative virtuose: dalla formazione gestita da Formez e dalle organizzazioni dei giornalisti e dei comunicatori, al ComPA di Bologna che si teneva ogni settembre ed era regolarmente aperto del Presidente del Consiglio; dai corsi di laurea in Scienze della Comunicazione al fermento sindacale con cui la Federazione della Stampa provò a creare un tavolo di trattativa autonomo nei contratti pubblici. Ma la fiammata durò poco. Entro qualche anno, le resistenze della burocrazia pubblica e delle sigle sindacali tradizionali relegarono la comunicazione in un ruolo sempre più episodico e marginale. Nacque allora la leggenda della “150 disapplicata”: in effetti, le amministrazioni non fecero a gara per dare vita e spessore alle strutture deputate ad informare e comunicare. Pesava, in questo campo, l’eredità storica di un sistema statale autoreferente e sovraordinato rispetto al cittadino, per il quale comunicazione, trasparenza, interazione restavano auspici da convegno. Ma la ragione principale del progressivo sbiadimento della 150 fu quella che Mario Morcellini, a lungo presidente della Conferenza dei corsi in Scienze della Comunicazione, ha definito “la mancata manutenzione” della legge.
Semplicemente, si preferì agitare la bandierina della legge senza tener conto che il mondo stava cambiando sotto i nostri occhi. In due decenni il settore della comunicazione ha conosciuto una rivoluzione copernicana, per via di un’esplosione digitale che ha stravolto le modalità di operare e gli strumenti di lavoro (si pensi solo a social e smartphone). Già un semplice post su Facebook, Twitter o Instagram, demolisce i confini tradizionali fra comunicazione e informazione, perché è evidente che, nell’atto di scrivere quel testo (che ha sue rigorose e inedite tecniche di redazione), le due funzioni si fondono e si dilatano. E dall’altra parte non c’è più un lettore di giornali o un cittadino in fila allo sportello, ma un soggetto attivo che può interagire, sollecitare, proporre e a sua volta fornire informazioni.
Dopo tre decenni di lavoro nella comunicazione pubblica, di pubblicazioni e di insegnamento universitario – il mio primo incarico fu nel 1992 nel neonato corso in Marketing e Comunicazione d’azienda all’Università di Bari -, nel 2020 ho avuto l’onore di coordinare un Gruppo di lavoro presso il Ministero PA dedicato alla Riforma della Comunicazione pubblica e ad una Social media policy nazionale. Insieme a rappresentanti delle organizzazioni dei giornalisti, dei comunicatori e degli esperti digitali, alle università, le Regioni, i Comuni e le associazioni civiche, il GDL ha elaborato un Documento di indirizzo per la Riforma con una Relazione di accompagnamento (testi pubblicati sul sito della Funzione Pubblica e facilmente reperibili on line). Da questa esperienza al Ministero, dal lavoro al Formez e dalle attività di PAsocial, attivissima associazione di cui sono stato co-fondatore nel 2017, è nato il “Nuovo Manuale di Comunicazione Pubblica”, edito dal Centro di Documentazione Giornalistica, scritto con Roberto Zarriello e ben 35 esperti del settore, che traggono dal vivo della loro esperienza professionale preziose indicazioni di lavoro su social, chat, bot, blog, consultazioni pubbliche, trasparenza, partecipazione civica, ascolto, citizen satisfaction, Pnrr e molti altri temi. Il Manuale descrive come si utilizzano questi nuovi strumenti e in specie quali sono le modalità d’uso dei social, mezzo potentissimo che però bisogna saper governare. Il professionista della comunicazione pubblica è in grado di indirizzare tutto ciò verso il servizio pubblico: per questo parlo di “digitale in tasca”, cioè servizi accessibili e di facile utilizzo, proprio come l’oggetto che li contiene, cioè lo smartphone. In generale, come affermano Gianni Letta e Mario Morcellini nelle loro pregevolissime introduzioni, gestire in modo adeguato il digitale significa aumentare la qualità della vita sociale e delle relazioni umane. Naturalmente il Manuale non si ferma all’oggi, ma contiene anche alcuni capitoli dedicati alla necessità ed ai contenuti della Riforma, quella “legge 151” che sarà il tetto legislativo che tutela e protegge i professionisti della comunicazione pubblica digitale.
In sintesi, saper comunicare lo Stato nelle sue varie articolazioni, con le dovute competenze e padroneggiando gli strumenti a disposizione, non è più una funzione che si può improvvisare. Il cittadino smette di essere un intruso e diventa il pilastro dell’attività comunicativa, che, a sua volta, torna a essere centrale. “Ha un ruolo essenziale” – parole del ministro Brunetta all’OCSE nello scorso marzo – perché è l’essenza stessa dei servizi che fornisce la pubblica amministrazione”.
La comunicazione digitale serve anche ad invertire la narrazione contro un’entità impalpabile come la burocrazia. I luoghi comuni nascevano soprattutto da fattori su cui successivamente si è intervenuti: il blocco del turn over, l’età media avanzata dei dipendenti (elemento connesso strettamente al primo), l’azzeramento della formazione e dell’aggiornamento professionale e il mancato rinnovo dei contratti.
Chi voglia ragionare in modo non approssimativo sa che, per la stragrande maggioranza, le risorse umane della PA italiana sono di alto livello. Ce ne siamo accorti durante la pandemia, quando abbiamo dovuto imparare a selezionare le fonti a cui attingere notizie chiare e certificate. I professionisti della comunicazione pubblica, con il loro lavoro qualificato e permanente durante il lockdown, dovrebbero essere portati ad esempio insieme a medici e infermieri. “Il volto della Repubblica – ha affermato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo”. Grandi professionalità e grandissime competenze. E il ritardo della “legge 151” è un gap che va assolutamente colmato, per garantire il riconoscimento professionale a chi oggi lavora nell’ambito della comunicazione pubblica digitale in condizioni che definirei di “volontariato istituzionale”.
“La partita da vincere, in altri termini, è culturale e tecnologica: digitalizzare la Pubblica amministrazione diventa, in questo scenario e senza tentazioni utopistiche, la via maestra per un’effettiva estensione della trasparenza e della partecipazione”. Queste parole nella prefazione di Mario Morcellini confermano l’importanza di un percorso che ormai si è innescato e che è necessario portare al traguardo in maniera efficace. Per dirla invece con Gianni Letta, “Casa comune e Istituzioni sono chiamate a considerare la comunicazione digitale (e chi vi opera) non già come qualcosa di marginale rispetto alla sostanza dell’azione di governo e dei servizi elargiti dalla Pubblica Amministrazione, ma come parte strutturale del corpo democratico”.
Link: https://www.cdgedizioni.it/journalism-communication-tools/362-nuovo-manuale-di-comunicazione-pubblica-9788866581116.html
