Violenza nelle Università, D’Arienzo: “L’antisemitismo cresce, gli atenei chiedono un ritorno alla normalità”

Come affrontare l’antisemitismo nel mondo dell’istruzione? Se n’è parlato lunedì alla conferenza Addressing antisemitism in higher education, organizzata dall’Unesco in collaborazione con la Commissione europea. Maria D’Arienzo, professoressa di Diritto e Religione all’Università Federico II di Napoli, ha partecipato all’evento e non rinuncia all’ottimismo. Gli episodi di intolleranza hanno infestato il clima negli atenei, ma ora l’aria sta cambiando: sempre più docenti e studenti chiedono «un ritorno alla normalità».

Qual è il quadro tratteggiato alla conferenza Unesco sull’antisemitismo?
«Alla conferenza non si è parlato in astratto: i dati mostrano un aumento degli episodi di antisemitismo negli ambienti educativi. Per questo le università non possono più rinviare misure concrete di prevenzione e contrasto. Il Congresso di Parigi del 29 settembre 2025 aveva un obiettivo preciso: produrre Raccomandazioni operative che guidino gli atenei a costruire, giorno per giorno, una cultura del rispetto della diversità. Il miglior antidoto all’intolleranza religiosa e all’antisemitismo».

Ormai la violenza ha preso il sopravvento nelle università. La deriva è irrimediabile o ci sono speranze per invertire la rotta?
«L’aggressione di questi giorni a un docente dell’Università di Pisa, colpito per posizioni non filopalestinesi, è l’ennesimo evento rivelatore del clima di prevaricazione che ha preso luogo in alcuni atenei. Quando si prova a zittire un’idea con la forza, perde l’università e perdiamo tutti. Eviterei però i toni apocalittici: generalizzare non aiuta a capire né a intervenire. La rotta si può cambiare e passa attraverso scelte molto concrete: difendere senza ambiguità la libertà accademica, garantire che seminari e convegni si svolgano liberamente, e riportare ogni discussione nel suo spazio naturale. Il confronto tra differenze e l’educazione al pensiero critico. Qui si misura la nostra responsabilità istituzionale».

Anche perché lei è in prima linea nel mondo accademico per contrastare le iniziative contro Israele…
«Lavoro su tre fronti. Primo: difendo e creo spazi di confronto reale, dove tutte le posizioni e idee vengono esaminate (seminari, dibattiti, lezioni aperte). Secondo: sostengo la cooperazione scientifica con le università israeliane. I boicottaggi accademici non sono una pressione efficace: isolano chi fa ricerca e non modificano le decisioni politiche. Terzo: costruisco una rete di studiosi e atenei che agisca da “contropotere” civile, facendo valere la forza della ricerca libera, verificabile e responsabile, a tutela dei diritti. In sintesi: più scienza, più dialogo, zero intimidazioni».

Però queste campagne pro-Pal e anti-Israele stanno riscontrando sempre più difficoltà e meno adesioni rispetto a qualche mese fa. È una falsa percezione o effettivamente è così?
«Le dinamiche di mobilitazione pubblica sono spesso complesse e legate a molti fattori: in alcuni atenei italiani persistono prese di posizione contrarie al dialogo, si riscontrano eventi violenti e di prevaricazione. È fondamentale, tuttavia, che tali iniziative non incidano negativamente sull’attuazione della Strategia Nazionale di Lotta all’Antisemitismo relativa al quinquennio 2025-2029, che investe le università del rilevante compito di promuovere l’attivazione di percorsi formativi, di progetti di ricerca e di iniziative di “Terza missione” specificamente dedicate al contrasto e alla prevenzione dell’antisemitismo. Percepisco, nelle ultime settimane, l’emergere di una diversificazione: in alcuni atenei si sta promuovendo un ritorno alla normalità, oramai chiesta da docenti e studenti».

Che aria si respira nei suoi confronti? I suoi colleghi la guardano con diffidenza a causa della sua battaglia?
«Pur nella naturale diversità di opinioni che caratterizza ogni contesto, ho sempre percepito rispetto verso le mie posizioni. Anzi, ritengo che la disponibilità al confronto e al dialogo, anche su temi complessi, sia uno dei tratti distintivi e irrinunciabili dell’università. È un valore che va non solo tutelato, ma costantemente coltivato, perché l’accademia è davvero libera solo quando il dissenso è possibile e il rispetto è la regola».