Voto ai fuori sede, perché i burocrati fanno muro?

Quella del disegno di legge che dovrebbe consentire il voto dei cosiddetti fuori sede nelle elezioni regionali e amministrative del prossimo autunno è una storia solo apparentemente piccola e insignificante. In realtà ne svela impietosamente tante altre, ben più importanti e che per questo meritano di essere evidenziate. Su tale proposta tutte le forze politiche si sono dette sostanzialmente d’accordo. E del resto, chi potrebbe mai apertamente dichiararsi contrario a una proposta che vuole consentire non in astratto ma in concreto l’esercizio del basilare diritto di voto a chi, per motivi vari (lavoro, studio, salute, ecc.), è temporaneamente fuori dal comune di residenza e ha difficoltà (anche economiche: per questo i rimborsi delle spese di viaggio andrebbero aumentati) a tornarvi, tanto più in tempi di pandemia?

Poi invece scopri che, ben nascoste, ci sono varie resistenze. L’autoreferenzialità di chi vede nelle istanze provenienti dall’esterno (la proposta nasce da un gruppo di ragazzi calabresi riuniti nel Collettivo Peppe Valarioti) non un insperato contributo da valorizzare (i partiti sono lo strumento tramite cui i cittadini contribuiscono a determinare la politica nazionale ci ricorda l’articolo 49 della nostra Costituzione) ma un inaccettabile attentato alla propria autonoma capacità di elaborazione. Gli egoismi di chi bada soprattutto a piantare la propria bandierina, cogliendo l’occasione per promuovere soluzioni certo affascinanti (il voto digitale) ma certo non introducibili a breve (ricordarsi sempre che l’ottimo è nemico del bene). Infine, ma sopra tutte, le resistenze del Ministero dell’Interno, la cui forza – ora come non mai – è in grado di prevalere sulla debolezza della politica (come hanno impietosamente svelato le confessioni di un capo gabinetto raccolte in quel manuale di diritto costituzionale sostanziale titolato Io sono il potere). Prendiamo le quattro obiezioni che sono state mosse dai “tecnici” alla proposta di poter far votare i fuori sede nelle più vicine prefetture.

La prima: le schede elettorali non possono viaggiare per problemi “logistici insormontabili”; inoltre, nella loro attesa non si potrebbe cominciare lo spoglio, con conseguente possibile ritardo dei risultati elettorali. E così, in un’epoca in un cui Amazon è in grado di consegnare un ordine in meno di 24 ore, per l’amministrazione degli Interni le schede elettorali non possono viaggiare. Ne prendiamo atto. Ma allora perché non consentire tali operazioni prima della data delle elezioni (ad esempio nella settimana precedente)? Perché, ad esempio, non convogliare le schede dei fuori sede nella sezione elettorale centrale di ogni comune, così da non impedire la chiusura dello spoglio nelle singole sezioni? Oppure ancora: perché non scrutinarle direttamente nelle prefetture? Sarebbe un così gravoso impegno per i loro funzionari?

Seconda obiezione: vi sarebbe il rischio di riconoscibilità del voto nei casi in cui un solo elettore voti in un’altra città, a distanza, per il proprio comune di residenza. A parte la singolarità speciosa dell’obiezione, l’eventualissima lesione della segretezza del voto di un fuori sede è giustificazione ragionevole per negare di fatto il diritto di voto di tutti gli altri? Oppure già ora nel nostro ordinamento la segretezza del voto è (in ipotesi) derogata quando si consente agli italiani residenti all’estero di poter votare per corrispondenza? In ogni caso, perché, come detto, non convogliare e scrutinare tutte le schede dei fuori sede in un’unica sezione elettorale, così da impedirne l’identificazione?

Il bello è – e veniamo alla terza obiezione – che gli uffici del ministero, scartata la soluzione del voto in prefettura per ragioni di segretezza del voto dell’eventuale unico votante – poi propongono come soluzione per il voto dei fuori sede quello per corrispondenza (oggi possibile per gli studenti cosiddetti Erasmus, cioè quelli che sono momentaneamente all’estero), come se il voto per corrispondenza non presentasse gli stessi, e anzi maggiori problemi, in ordine alla tutela della libertà e della segretezza del voto rispetto alle garanzie offerte dal voto in luogo sicuro e protetto come sono le prefetture.

Quanto alla quarta obiezione – l’invasività di una simile disciplina rispetto all’autonomia regionale in materia elettorale – a parte ogni considerazione sulla competenza statale in ordine alla tutela del diritto di voto sull’intero territorio nazionale e sull’esistenza di precedenti in materia (quale da ultimo l’intervento del Governo per garantire la doppia preferenza di genere), fa un certo effetto vedere un’amministrazione centralista, come quella degli Interni, ergersi improvvisamente a paladina delle regioni.

Come si vede tutte obiezioni superabili, se solo si avesse la volontà costruttiva di fare di tutto per fare votare i cosiddetti fuori sede. Ed è propria questa la considerazione più amara: l’inversione dei rapporti di forza tra politica e amministrazione. Di fronte al niet del burocrate, la politica cede, anche quando si tratta di promuovere di fatto l’esercizio di un diritto fondamentale su cui si basa la nostra democrazia, come quello di voto. Da amministrazione che dovrebbe mettersi al servizio della politica ad amministrazione che invece decide al posto della politica.

Oppure che propone soluzioni – come nel caso in specie il voto nel comune di domicilio anziché di residenza – oltreché di dubbia opportunità (ci sarà pur un motivo per cui un ragazzo che studia a Milano ha voluto mantenere la residenza a Cosenza, no?) palesemente illegittime perché i seggi vengono ripartiti in base alla popolazione residente per cui potremmo avere molti elettori per pochi seggi (ad esempio nelle grandi città) e pochi elettori per molti seggi (ad esempio nei comuni dove i residenti sono per l’appunto fuori sede). A noi costituzionalisti piace volare alto, discettando di centralità del Parlamento, primato della politica, ruolo fondamentale dei partiti, ecc. Poi, quando ci confrontiamo con piccole storie come questa del voto dei fuori sede capiamo che ce ne sono altre. Tutte in direzione contraria e sbagliata.