Il presidente ucraino Zelensky sta vivendo la settimana più cruciale per sé e per il proprio Paese alle prese con l’aut-aut di Trump per chiudere le ostilità. Egli sa che si trova di fronte da un bivio decisivo dove occorre scegliere: da un lato la dignità sua e del suo popolo, dell’esercito e dei civili che hanno speso ingenti risorse umane resistendo all’aggressione di Mosca e dall’altro il rischio di perdere l’alleanza strategica con gli USA, in realtà fondata su una predeterminata sudditanza psicologica, politica, diplomatica e militare.

Il piano in 28 punti steso da Witkoff e Dimitriev prevede una resa incondizionata dell’Ucraina che va dalla cessione del Donbass e della Crimea al dimezzamento del contingente dell’esercito ucraino, per rendere impossibile ogni futuro tentativo di reazione a qualsivoglia nuovo attacco del Cremlino, alla restituzione a USA e Russia degli asset economici sequestrati a Mosca. Già prima del 24 febbraio 2022 l’Ucraina aveva ceduto le armi nucleari alla Russia, con la clausola attuale Kyiv diventerebbe la capitale fantasma di uno Stato defraudato e inerme. Trump non ha usato mezzi termini con Zelensky: o accetti il piano di pace o gli USA si defileranno definitivamente da ogni sostegno economico e militare. Gettando l’ultima maschera che ha indossato in questo lungo calvario di un massacro ininterrotto dell’Ucraina, che gli USA hanno in parte smorzato, rinviando ogni tentativo di accordo a cui il Cremlino si è sempre sottratto.

L’ex socio beccato con le mazzetta

L’ultima farsa andata in scena si è svolta ad Anchorage dove allo Zar è stata riservata l’accoglienza del red carpet senza alcuna contestazione. Si aggiunga che Zelensky deve affrontare questa unilaterale e imposta mediazione per un accordo di pace in una condizione di debolezza dovuta allo scandalo interno che ha travolto un paio di ministri e il suo ex socio allo Studio Kvartal 95, Timur Mendich, beccato con le mazzette a casa e un water d’oro in bagno. Si tratta di condizioni capestro che rendono il possibile accordo una vera e propria resa. L’Ucraina paga il logorio dell’attacco incessante dell’operazione militare speciale, ma paga anche il disimpegno di Trump e le incertezze dell’Europa alla quale Zelensky ora si appella affinché il suo Paese non sia abbandonato ad un destino di soccombenza già scritto.

Il piano di 28 punti ripensato

Il famoso piano dei 28 punti è stato in realtà pensato, predisposto e redatto dal Cremlino, come scrive Luke Harding di The Guardian, evidenziando nel testo presentato in inglese goffi strafalcioni grammaticali, sintattici e semantici, dovuti ad una imprecisa e approssimativa traduzione dal cirillico. Evidentemente a Trump va bene così, ma questa volta gli USA più che partecipare alla stesura di un testo di trattativa sembrano praticare il gioco delle tre tavolette, aderendo proni e supini alle condizioni dettate da Putin. La Casa Bianca volta le spalle all’Ucraina e all’Ue, e ci si chiede in questi giorni convulsi se siamo prossimi ad un epilogo dell’invasione russa o se siamo invece al primo atto di un copione già scritto che prevede ulteriori espansioni verso ovest delle pretese di Mosca. Tutte le provocazioni messe in atto con i sorvoli aerei, gli sconfinamenti, i droni sopra alcuni Paesi dell’Europa sono il macabro presagio di un triste rituale.

L’Ucraina ha difeso sé stessa e l’Europa per oltre 1370 giorni ma se dovesse soccombere ad un grottesco accordo di pace frutto di imposizioni e ricatti, si potrebbero aprire scenari impensabili ai quali i negazionisti, i pacifinti, i filoputiniani e gli osservatori salottieri che non hanno mai calcato un solo metro quadrato di territorio ucraino non hanno mai creduto. Il mondo segue con il fiato sospeso quello che in ogni caso si preannuncia un tragico epilogo. Le ultime “carte” potrebbe giocarle l’Ue che afferma “non ci stiamo”: ma bisogna vedere se si tratta di poker o di due di coppe.