Zelensky è furioso. Raid su Kiev: morti, feriti e città al buio. Putin rilancia: “Presto nuove armi”

In this photo provided by the Ukrainian Emergency Service, emergency services personnel work to extinguish a fire following a Russian attack in Brovary, near Kyiv, Ukraine, Friday, Oct. 10, 2025. (Ukrainian Emergency Service via AP)

Zelensky è furioso. Ma al tempo stesso si sente molto più forte perché malgrado le minacce di Vladimir Putin, i famosi missili Tomahawk sono in consegna e con quelli potrà, volendo, colpire le basi militari all’interno della Russia. Ciò che lo ha reso furioso appunto è stata la violenza finora inaudita dei bombardamenti russi contro tutte le strutture energetiche ucraine. Sono stati lanciati 450 droni e 3 missili contro tutti gli impianti energetici. Una gran parte del Paese è andato in tilt, mezza Kyiv è rimasta al buio e al freddo, ed è morto a Zaporizhzhia anche un bambino schiacciato dalle le macerie insieme ad altri 20 cittadini gravemente feriti.

Il presidente ucraino l’ha presa malissimo non tanto e non solo per la violenza dell’attacco, in sé il più massiccio di tutti i precedenti, ma perché equivale a una dichiarazione politica di chiusura totale a qualsiasi ipotesi di trattativa, o almeno di inizio di trattativa, e ha visto confermare le ultime parole più ciniche ma anche più rilassate del presidente Putin quando ha detto che “i missili Tomahawk sono dei vecchi attrezzi della guerra fredda che non fanno più paura” e che “la nostra contraerea sarà in grado di neutralizzarli”. Resta un fatto, ciascun missile americano avrà bisogno di un altro soldato americano per collegare quel missile col sistema satellitare del Pentagono: non si tratterebbe quindi più di un confronto tra russi ed ucraini, ma di un confronto tra militari russi e americani.

In realtà c’era stata già da un mese una escalation e i droni ucraini, più evoluti di quelli russi, hanno colpito anche la residua flotta di Putin sul Mar Nero. Questa corsa vede i russi in fase calante, la loro produzione di petrolio è diminuita ed è diminuito il volume di petrolio destinato alla Cina attraverso oleodotti o da imbarcare sulle Shadow Flight che da mari del Nord sfilano davanti alle coste danesi e degli altri paesi della NATO i quali adesso chiedono polizze di assicurazione per lasciar passare il petrolio di contrabbando destinato all’india, stazione di servizio che ricicla petrolio russo rivendendolo semilavorato alle singole compagnie e consentendo un guadagno per Mosca che super il quaranta per cento, più o meno quanto ne serve a Putin per mantenere in piedi l’apparato bellico.

C’è poi il piccolo giallo buffo o grottesco di Putin che avrebbe pubblicamente dichiarato che secondo lui Donald Trump meritava il premio Nobel per la pace. Battuta sferzante (visti gli ultimi sviluppi fra i due presidenti) oppure un gesto per significare che è una strada di ripartenza sempre possibile? L’America in questo momento non è solo spaccata ma la vicenda Ucraina e quella di Gaza stanno alimentano fermenti nel campo repubblicano perché cresce la nostalgia di una guerra fredda in cui alla fine l’orso russo viene messo in catene e riportato nel suo gabbione. I MAGA non vogliono una guerra guerreggiata con gli stivali sul terreno ma invece una politica forte, e che alla fine portasse vantaggi economici e non soltanto bandierine. I russi, non soltanto Putin ma anche Lavrov e tutto il contorno del ministero degli esteri, lasciano messaggi un po’ sbalorditi come a dire: questa da Trump non ce l’aspettavamo. D’altra parte ognuno ha il suo carattere e bisogna avere pazienza.

Tuttavia Putin ha ripetuto che se un missile Tomahawk, trovandosi in Ucraina, colpisce la Russia migliaia di chilometri al suo interno allora sì, a quel punto non sarebbe più una questione politica perché la nuova dottrina militare russa prevede la piena autonomia da parte dei comandanti generali dei diversi distretti i quali, senza chiedere il permesso a nessuno, quantomeno a Putin, possono aprire la loro valigetta e replicare con un’arma atomica di tipo tattico, vale a dire della potenza di quella di Hiroshima che ai nostri occhi fece il massacro più orrendo della storia. Sottotesto delle parole di Putin: “Io ho redatto una nuova dottrina militare che mi esenta dal prendere le decisioni maggiori, per cui se gli americani facessero l’errore di far partire un missile idoneo a trasportare testate nucleari, è perfettamente inutile che mi venga a telefonare per dirmi che aveva scherzato perché i miei comandanti locali, pur essendo in costante contatto con me e con Mosca possono prendere qualsiasi decisione ritengano idonea per salvaguardare l’esistenza della nazione russa”.

Il dialogo prosegue con il calendario di ciò che accade a Gaza: “Se la pace si fa, se verranno riconsegnati tutti gli ostaggi, se i cannoni taceranno”. Tutto questo ha ed avrà una forte influenza sia sulla Cina che su Taiwan. La situazione si trasforma in ogni istante perché tutti i giocatori hanno le stesse carte ma non fanno lo stesso gioco. Il lunedì dello scambio degli ostaggi è ancora lontano un centinaio di ore e sono ancora in campo tutte e varianti: la prima è la più prevedibile, ovvero che Hamas accetti di disarmarsi e andarsene in esilio, ipotesi alla quale lo Stato maggiore nascosto nel Qatar ha già detto di no. I giochi non sono fatti e la furia di Zelensky cresce come una pentola a pressione.