5% del Pil destinato alla Difesa: Meloni ha poche alternative. Dove taglierà?

Il nuovo accordo tra i Paesi della Nato per portare le spese dedicate alla Difesa al 5 per cento del Prodotto interno lordo rischia di rendere complessa la gestione della spesa pubblica italiana. Ricordiamo che gli Stati membri dell’Alleanza Atlantica hanno deciso di aumentare gli investimenti i armamenti, eserciti e infrastrutture al 5 per cento del Pil. Di questa cifra, il 3,5 per cento è dedicato alle armi mentre l’1,5 per cento alle infrastrutture strategiche per la Difesa. Il tutto, come da richiesta dell’Italia, da fare entro il 2035.

Meloni

La posizione della premier, intervenuta ieri al Senato sulle comunicazioni reste in vista del Consiglio d’Europa del 26 e 27 giugno, è chiara: “penso che l’impegno che i membri della Nato si apprestano ad assumere sia carico di responsabilità, anche alla luce di un contesto incerto e preoccupante. Proprio perché sappiamo bene che questa esigenza deve inserirsi in maniera sostenibile con tutte le altre priorità del Governo, nelle ultime settimane ci siamo impegnati a rendere il percorso verso un aumento delle spese della difesa sostenibile, flessibile, credibile. Oggi ritengo che abbiamo raggiunto questo risultato”. E ancora: “L’aumento previsto – ha proseguito – è in dieci anni, legato in maniera coerente agli obiettivi capacitativi che l’Alleanza si è data, non impone alle Nazioni percorsi obbligati, prevede una revisione nel 2029”.

I numeri

Fin qui la cronaca. La prudenza della premier viene dai numeri. Non serve ricordare che l’Italia ha un dei debiti pubblici più alti al mondo, proprio ad aprile ha superato i 3.030 miliardi. Questo valore rappresenta un peso enorme per qualsiasi strategia di investimento che il Belpaese vuole portare avanti. Secondo gli ultimi dati della Bilancio dello Stato, l’Italia investe complessivamente 34 miliardi l’anno per la Difesa pari ad un valore molto vicino all’1,5 per cento del Pil. Per arrivare all’obiettivo Nato, cioè il 5 per cento, bisogna investire circa 110 miliardi di euro. Nei prossimi dieci anni, quindi, il Bilancio dello Stato italiano deve accantonare molti più soldi per le armi. La differenza è di 77 miliardi di euro. E qui sorge il vero problema. Dove prenderà l’Italia questi soldi? Di questi 77 miliardi, la parte del leone sarebbe riservato alla Difesa in “senso stretto”, cioè 54 miliardi di euro. Gli altri 23, invece, sarebbero destinati alle infrastrutture. Al momento c’è da escludere il debito comune europeo come si era paventato qualche mese fa. Bruxelles varerebbe dei Bond destinati al riarmo degli Stati membri. Questa ipotesi pare sia finita su un binario morto per l’atavica opposizione dei Paesi “frugali” del Nord contrari a qualsiasi ipotesi di indebitamento in comune. All’Italia resterebbero due strade.

Debito

La prima è chiedere le risorse al mercato finanziario. Questa via pare complessa. Chi garantisce che gli attori istituzionali sarebbero pronti a comprare circa 70 miliardi di debito in più emesso dallo Stato italiano? E soprattutto, a quale tasso di interesse? Basti pensare che nel 2025 l’Italia pagherà oltre 100 miliardi di euro di interessi: a quanto salirebbe questa cifra nel caso di debito maggiore? Non dimentichiamo che ai mercati poco importa se la spesa si può scorporare dal Patto di stabilità, come si sta ipotizzando in queste ore. A loro interessa solo il debito e la capacità di ripagarlo.

Tagli

La seconda ipotesi sarebbe quella di stravolgere il bilancio dello Stato e tagliare in tutti i capitoli di spesa per dedicare le risorse alla Difesa. Quando parliamo di “capitoli” ci riferiamo in modo particolare ai tre più grandi: gli investimenti in sanità, le spese per il welfare e quelle per le pensioni. Con quale consenso, però, Giorgia Meloni e il suo Esecutivo possono procedere su questa strada che sembra impervia? Certo, servirebbe un serio efficientamento della spesa pubblica cosi come servirebbe un taglio degli sprechi. La politica italiana, però, ci ha abituati ad una cosa: al di là dei proclami, la spesa pubblica non si riesce mai a ridimensionare. Ci riuscirà Meloni?