La visita di maggio ‘25 del presidente USA in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar lega l’avvicinamento tra i Paesi del Golfo e Israele alla fine del conflitto armato a Gaza, ma soprattutto alla creazione di uno Stato palestinese senza il quale la normalizzazione saudita non potrà procedere. Una rivoluzione a firma Trump. Per l’Italia questi cambiamenti presentano sia opportunità che sfide. Il nostro Paese ha già rafforzato il suo impegno nel Golfo: a metà del 2025, la Vice Ministra degli Esteri Maria Tripodi ha partecipato alla riunione ministeriale UE-CCG in Bahrein e Kuwait, riaffermando il ruolo di mediazione e chiedendo una nuova architettura di pace che colleghi la stabilizzazione di Gaza, la soluzione politica di Siria e Libano, e la cooperazione per la sicurezza regionale. Nel frattempo, l’industria italiana – da ENI a Stellantis – sta ampliando le collaborazioni nel Golfo nei settori delle tecnologie avanzate, dell’intelligenza artificiale e delle energie rinnovabili. Mentre Washington riduce la sua presenza militare a favore della diplomazia economica, l’Italia e l’UE potrebbero guadagnare spazio per guidare il mantenimento della pace, la sicurezza energetica, e la diplomazia multilaterale.
Attori del Golfo e nuovi allineamenti
I governi del Golfo stanno perseguendo una strategia multi-allineamento. Nel gennaio 2024 l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno formalmente aderito ai BRICS+, insieme a Iran ed Egitto, segnando un passaggio verso un impegno più multipolare. Questi paesi mirano a bilanciare le loro partnership con Cina e Russia attraverso i meccanismi BRICS, mantenendo al contempo forti legami economici e di sicurezza con i governi occidentali. Il Golfo ora si trova a cavallo tra il contesto occidentale e quello del cosiddetto Sud del mondo.
Per l’Europa e l’Italia, questa configurazione in evoluzione richiede un impegno costante nei settori dell’energia,
della tecnologia, e della diplomazia.
Due diversi Accordi di Abramo in competizione
Gli Accordi di Abramo hanno così attualmente acquisito due significati distinti e opposti: la versione glocalista dell’identità collettiva, promossa da Netanyahu e Trump, che enfatizza la normalizzazione senza uno Stato palestinese, sostituendo la diplomazia con la deterrenza transazionale; la versione westfaliana dell’identità collettiva, articolata dall’allora Presidente USA Biden, secondo cui la normalizzazione con Israele deve includere la creazione di uno Stato palestinese come precondizione per una pace duratura. Analizzando questa transizione si può intuire che il futuro degli Accordi di Abramo dipende dalla conciliazione tra la legittimità delle comunità territoriali (identità collettive statali) e quella delle comunità trans-territoriali (identità collettive senza confini spaziali definiti), attraverso il dialogo accademico, diplomatico e interreligioso. La domanda cruciale di questo dibattito dunque non è tanto quale nuovo paese aderisce agli Accordi, bensì a quali Accordi di Abramo, cioè se gli Accordi rappresentino un paradigma glocalista trans-territoriale, o un’evoluzione vestfaliana fondata su legittimità territoriale e statualità inclusiva.
