Erdoğan mette carote e bastoni nello stesso cesto di retorica elettorale nella sua corsa per la riconquista di Istanbul nelle elezioni locali che si terranno in tutta la Turchia il prossimo 31 marzo. Per un verso si trova costretto a blandire il prezioso voto curdo con qualche promessa e per altro verso deve rassicurare l’elettorato ultranazionalista, suo indispensabile alleato, tornando a minacciare nuove operazioni contro i curdi in Nord Iraq e in Siria. Su pressione della Turchia, Baghdad ha preso una decisione storica: ha messo al bando i curdi del Pkk che dagli anni Novanta hanno trovato rifugio tra le aspre montagne di Qandil, nel nord Iraq.
Erdoğan è tornato a minacciare una incursione su larga scala nella regione irachena al suo confine evocando i versi di una canzone d’amore da lui molto amata: “Posso venire una notte all’improvviso”, con riferimento al fatto che l’esercito turco potrebbe giungere una notte all’improvviso in nord Iraq e Siria per spazzare via le milizie curde legate al Pkk da tutto il lungo confine di circa 1250 chilometri che separa questi due paesi dalla Turchia, perché considerate una minaccia alla sua sicurezza e alla sua integrità territoriale.
Per il presidente turco l’annunciata operazione anticurda troverebbe legittimazione nell’articolo 51 delle Nazioni Unite che stabilisce il diritto all’autodifesa. Il Partito dei lavoratori del Kurdistan conduce dal 1984 una campagna armata contro le forze turche per l’autonomia del sudest anatolico ed è considerato un gruppo terroristico anche da Stati Uniti e Unione europea. Dal 1979 al 1998 è stato un partito indipendentista e ha usato la Siria e il Libano come sua base guadagnando terreno nei due paesi. Ma quando Ankara e Damasco firmarono l’accordo di Adana nel 1998, Hafiz al-Asad, padre dell’attuale dittatore, pose fine al suo sostegno al Pkk ed espulse il suo leader Abdullah Öcalan dal paese. Da allora, il Pkk ha dovuto mantenere un profilo basso nella Siria settentrionale e, preso sistematicamente di mira dalle forze turche, fu costretto a ritirarsi come parte di un altro accordo tra Turchia e Stati Uniti, trasferendo i campi di addestramento e il suo quartier generale in nord Iraq, ai confini con il Kurdistan iraniano. Le sue basi diventarono subito bersaglio delle Forze armate turche nelle operazioni Acciaio (1995) e Martello (1997).
Dal 2019 l’esercito turco conduce nell’area nord-irachena, lungo tutto il suo confine, un’offensiva aerea e terrestre su larga scala insediando oltre cento suoi avamposti militari. Il governo centrale iracheno e il maggior partito della regione autonoma del nord Iraq del presidente Nechirvan Barzani, noto per avere legami molto stretti con Erdoğan, non hanno mai tollerato le operazioni transfrontaliere dell’esercito turco considerate una violazione della sovranità irachena. Perché Baghdad, proprio ora, si è convinta dell’utilità di mettere al bando i curdi del Pkk? Il 14 marzo scorso, infatti, Ankara e Baghdad hanno firmato un accordo storico in forza del quale collaboreranno per sradicare le milizie curde dal nord Iraq garantendo così la messa in opera di un progetto autostradale e ferroviario di 1200 km che collegherebbe il Golfo Persico alla Turchia attraverso l’Iraq.
Il progetto è importante per la visione di Erdoğan di integrare Ankara nel cosiddetto corridoio centrale, una rotta commerciale che si estende dall’Asia all’Europa e che anche l’Iraq e gli stati arabi del Golfo sperano che si realizzi presto dal momento che trasporterebbe merci attraverso il porto di al-Faw nel governatorato iracheno di Bassora verso i mercati internazionali attraverso la Turchia, tagliando fuori l’Iran. Il progetto è ambizioso, richiede un investimento di circa 17 miliardi di dollari e include la costruzione di hub logistici, complessi industriali, nuovi oleodotti e gasdotti. Il presidente turco è tra i princ i p a l i s o s te n i to r i d i t a l e progetto, che può finalmente contrapporre all’iniziativa rivale del corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC), sostenuto da Israele e dagli Emirati Arabi Uniti, che aggirerebbe la Turchia.
I crescenti attacchi da parte degli Houthi dello Yemen contro le navi commerciali che attraversano il Mar Rosso dall’inizio della guerra Hamas-Israele, per non parlare dell’incidente avvenuto nel 2021 nel Canale di Suez che fu necessario chiudere per una settimana, indicano che esistono alternative a quella rotta marittima. Ankara non fa più mistero dell’intenzione di voler condurre un attacco militare nel nord Iraq quest’estate per spingere il Pkk a sud e assicurarsi quella nuova rotta commerciale. Dalla fine dello scorso anno, la Turchia ha perso dozzine di soldati a causa degli attacchi delle forze curde contro gli avamposti turchi in quel territorio. Quelle morti hanno innescato una controversia interna e dei dubbi sull’efficacia delle tattiche utilizzate dall’esercito turco su quelle montagne impervie che rendono molto difficile raggiungere gli obiettivi sperati senza subire gravi perdite. Lo scopo principale di questa operazione è molto chiaro.
La presenza del Pkk a Metina e a Gara ha il potenziale per minacciare seriamente la realizzazione dello strategico progetto stradale e ferroviario. Dunque, Ankara cerca la collaborazione di Baghdad per rimuovere il Pkk da queste due aree e garantire la protezione della regione per la costruzione di quel corridoio. Secondo alcune fonti militari vicine al Krg, l’esercito iracheno avrebbe già schierato truppe nell’area di Balinda a protezione delle linee turche da tempo impegnate in un intenso conflitto nei distretti di Duhok e Mergasor. Probabilmente Baghdad fungerebbe solo da cuscinetto tra il Pkk e le truppe turche per impedire ulteriori scontri. Il governo centrale iracheno si sente costretto a non ostacolare Ankara nel suo intento di sradicare il Pkk dal nord Iraq per creare un clima sereno e favorevole con la Turchia necessario per superare le controversie energetiche e quelle sullo sfruttamento delle risorse idriche che penalizzano l’Iraq.
L’accordo turco-iracheno raggiunto il 14 marzo è infatti ad ampio spettro e include la soluzione delle dispute critiche insorte attorno alla vendita di petrolio ad Ankara da parte del Krg attraverso l’oleodotto Iraq-Turchia. Barzani è stato l’artefice di un accordo energetico firmato nel 2013 tra Ankara e Krg che consente alla regione curda, ricca di petrolio, di esportare in Turchia il proprio greggio attraverso terminali che bypassano il governo di Baghdad, ma la Corte suprema irachena ha dichiarato incostituzionale il suddetto accordo perché ritiene che spetti al governo centrale gestire le fonti energetiche della regione autonoma. Tale sentenza ha spinto Ie compagnie petrolifere internazionali a sospendere i contratti, compromettendo le finanze del governo regionale del Kurdistan. Quella dell’acqua è un’altra questione critica. L’Iraq è esposto alle gravi conseguenze del cambiamento climatico e sta attraversando da tempo una grave crisi idrica. I fiumi Eufrate e Tigri, che sorgono in Turchia e da cui dipende pesantemente l’approvvigionamento idrico dell’Iraq, sono colpiti dalla siccità. La costruzione da parte di Ankara di una serie di dighe sta provocando una scarsità d’acqua in Iraq ed è questa una spina nel fianco nelle loro relazioni bilaterali da più di cinque decenni. Recentemente l’Iraq aveva chiesto ad Ankara di aumentare la portata d’acqua a valle e una delegazione tecnica irachena aveva visitato la Turchia per valutare le riserve delle dighe in loco. Ankara, insomma ha in mano anche la chiave del rubinetto dell’acqua di Baghdad.
