Pochi personaggi del giornalismo televisivo italiano hanno incarnato, come Emilio Fede, le contraddizioni del rapporto tra informazione, politica e potere economico. Nato a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1931, Fede iniziò la sua carriera in RAI, dove divenne uno dei volti più riconoscibili del telegiornale. Negli anni Sessanta e Settanta fu inviato speciale in Africa, raccontando guerre e crisi internazionali. Quell’esperienza gli valse notorietà, ma anche soprannomi poco lusinghieri: “sciupone l’africano”, legati alle polemiche sulle sue note spese considerate troppo generose durante le missioni all’estero.
Il giornalismo televisivo di quegli anni era in piena trasformazione: il servizio pubblico rappresentava il principale canale d’informazione, e un inviato con la sua visibilità poteva diventare una vera celebrità. Fede, con il suo stile enfatico e spesso teatrale, si impose come una figura familiare per milioni di italiani. La sua carriera non si limitò però al giornalismo: affascinato dalla politica, tentò anche la strada parlamentare. Si candidò infatti nelle file del Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI), ma la sua avventura elettorale si rivelò un clamoroso flop: ottenne solo una manciata di voti, segno che la popolarità televisiva non si traduceva automaticamente in consenso politico. In uno spettacolo di quegli anni Beppe Grillo diceva: “Emilio Fede ha ricevuto tre preferenze sulle schede elettorali – In famiglia sono quattro e cerca ancora il franco tiratore”.
Fede e Berlusconi
Curiosa fu la sua vicenda familiare: fu cognato di Italo De Feo, dirigente RAI e figura importante del mondo televisivo e politico. Questa parentela gli valse il soprannome ironico e pungente: “l’ammogliato speciale”, gioco di parole che sottolineava come il suo ruolo all’interno della Rai fosse il frutto di legami personali e non soltanto di merito professionale.
Il vero salto di carriera arrivò negli anni Ottanta, quando Fede si legò a Silvio Berlusconi. Il Cavaliere, allora in piena ascesa come imprenditore televisivo, gli affidò la direzione del TG4 su Rete 4. Lì, Fede trovò il suo habitat ideale: un telegiornale costruito a sua immagine e somiglianza, dove la cronaca politica si intrecciava a commenti appassionati, spesso schierati apertamente a favore del leader di Forza Italia.
La cacciata da Mediaset
Il suo modo di condurre, diretto e senza filtri, gli valse affezionati sostenitori ma anche durissime critiche da parte di chi lo accusava di trasformare il notiziario in un teatrino, megafono del berlusconismo. Con il passare degli anni, il rapporto tra Fede e Berlusconi, inizialmente saldo e basato su una reciproca fiducia, iniziò a incrinarsi. Fede, che per lungo tempo si era speso con lealtà per l’immagine pubblica del Cavaliere, si trovò progressivamente isolato. Nel 2012, dopo alcune vicende giudiziarie e soprattutto dopo l’imbarazzo generato dal suo coinvolgimento nelle inchieste legate al cosiddetto “bunga bunga”, Mediaset decise di estrometterlo bruscamente dalla direzione del TG4. Fu una cacciata senza appello, che lui stesso descrisse come un tradimento personale da parte dell’amico di sempre.
Le fragilità
La parabola discendente di Fede si intrecciò anche con altre fragilità. La sua vita privata fu caratterizzata da un rapporto complicato con il gioco d’azzardo: passioni costose per il casinò e per le scommesse, che contribuirono a minare la sua stabilità economica e ad alimentare l’immagine di un uomo che dissipava con leggerezza quanto aveva guadagnato in decenni di carriera.
Guardando alla sua vita, Emilio Fede appare come un protagonista controverso: giornalista capace di farsi notare per tenacia e stile comunicativo, ma anche personaggio divisivo, accusato di aver confuso il giornalismo con la propaganda. La sua amicizia con Berlusconi fu il motore della sua fortuna televisiva, ma anche la causa della sua caduta più fragorosa.
Oggi, il nome di Emilio Fede resta sinonimo di una stagione televisiva irripetibile, in cui informazione e spettacolo, politica e intrattenimento si sono fusi. La sua storia, con le luci e le ombre, resta un frammento imprescindibile del racconto mediatico e politico dell’Italia degli anni novanta.
