Ci lascia l'autore de "L'insostenibile leggerezza dell'essere"
Addio a Milan Kundera, il genio della prosa
La metrica di Kundera, nelle sue opere, oscilla fra la proporzione del fraseggio e la dismisura della profondità. Viene rapito dal suono e dall’armonia. Scompare un grande del ‘900.
Dall’infanzia vissuta nell’allora Cecoslovacchia, dove trascorre ore davanti al pianoforte, e più tardi dagli studi a Praga, in cui sceglie di dedicarsi anche alla musica sulle orme del padre – grande pianista e direttore dell’Accademia di Brno – Milan Kundera viene rapito dall’impellenza del suono e dal fascino dell’armonia, tanto da proiettare la musica negli scritti futuri, sotto forma di tema o come espressione di una prosa mai stonata. Una metrica che oscilla fra la proporzione del fraseggio e la dismisura della profondità del pensiero.
«Parlava solo in francese ed era stanco di una lingua che giudicava pretenziosa e poco pratica», fa dire alla voce narrante de L’ignoranza, e chissà, forse sarà stato stanco anche lui, costretto nel recinto del controllo di una sintassi che non è sua – e che mai lo sarà – come il francese, in cui scrive i suoi ultimi romanzi. Una prosa con il merito dell’estrema chiarezza nell’esposizione e, all’opposto, di un’ambiguità inaspettata e sorprendentemente densa (a volte perfino oscura) in quei pensieri che l’autore spalma come malta fra un mattone e l’altro delle sue trame. Esistono, nella scrittura, diversi gradi di temperatura, più o meno calda, più o meno mutabile, quella congeniale a Kundera si confina in uno spazio in cui a prendersi la scena è il ragionamento, l’analisi, un racconto del mondo attraverso la lente della riflessione e della critica.
Dopo la poesia e il teatro, la satira che cade nella raccolta degli Amori ridicoli, corrosivi, caustici, qui e lì più filosofici che drammaturgici, si stempera ma non si annulla, acquisendo un tono semmai più cupo nel suo primo romanzo: Lo scherzo. L’autore sembra farsi beffa del sentimento più umano, quello amoroso, in balia – come tutti – di un destino, della politica, degli accidenti a cui ogni vita costringe, che nel frattempo si prendono beffa degli uomini. È ciò che accade nel suo primo libro, in cui il gesto goliardico del protagonista attiva la sciagurata reazione del Partito e una ressa di eventi che rotolano veloci verso la disgrazia. Il romanzo con cui Kundera ottiene un successo mondiale è L’insostenibile leggerezza dell’essere, vento di libertà per l’autore, che nel ’68 si era schierato a favore della «Primavera di Praga» e aveva perso il suo posto da docente, prima di essere espulso, per la seconda volta, dal potere comunista.
La rivalsa messa in campo è la negazione della propria opera nel paese natio, anche dopo la caduta del Partito, anche con l’affacciarsi di una epoca rinnovata: il suo rifiuto perdura ostinato e dovranno passare diciassette anni prima che il romanzo venga pubblicato nella Repubblica Ceca. Ma è difficile che un atto di vendetta possa rimediare al dolore della perdita, attenuando così il rumore sordo di una vita in esilio. La memoria. L’oblio. Due poli che tagliano l’intera opera di Milan Kundera: «C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio», ragiona nel romanzo La lentezza. «Il grado della lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio».
Nel romanzo La festa dell’insignificanza, l’autore si concede un movimento diverso, quasi un allegro andante, come a mettere alla prova le sue stesse intuizioni. E allora la velocità si rende struttura, tenta d’impedire l’angoscia della nostalgia, elevata ormai a stato identitario più che a moto di contingenza. E allora ecco una coreografia in cui la danza di un personaggio si alterna al paragrafo dell’altro, in mezzo a un eclettismo di pensieri in cui c’è chi entra e chi esce, c’è chi parla e chi ascolta, e in cui il dolore della memoria, pur nella velocità, non sembra riuscire nella strada della dimenticanza. L’uomo ricurvo sul presente è una categoria umana estranea al disegno emotivo di Kundera. Essere fuori dal tempo, scisso dal passato o dal futuro, è una chimera che l’autore darà in sorte a tante delle sue creature, destinata però a restare, nel riverbero delle riflessioni sul mondo, come una poetica illusione.
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