Un detenuto su quattro è tossicodipendente e uno su tre si trova in carcere per reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, mentre oltre il 60% della popolazione detenuta assume psicofarmaci, in particolare benzodiazepine e ansiolitici. Sono i dati di Antigone Campania diffusi a margine della presentazione del rapporto sui primi sei mesi del 2021 dell’associazione in prima linea per la difesa dei diritti dei detenuti.
Antigone, in questa prima metà dell’anno, ha eseguito 67 visite nei penitenziari di 14 regioni italiane. In Campania, l’associazione ha visitato gli istituti di pena di Carinola, Eboli, Salerno, San’Angelo dei Lombardi, Arienzo e naturalmente Santa Maria Capua Vetere, il carcere finito di recente al centro di un’inchiesta penale e di un’indagine interna disposta dal Ministero per i pestaggi e le violenze avvenute il 6 aprile 2020 e ormai da anni afflitto da una grave carenza strutturale per la mancanza di una condotta idrica. Dopo anni di attesa, nei mesi scorsi i lavori sono stati sbloccati ma si è ancora lontani dal garantire acqua potabile e così ciascun detenuto del carcere sammaritano può avere a disposizione due bottiglie d’acqua da due litri al giorno. L’emergenza, dunque, non è soltanto la violenza.
L’aumento dei detenuti con una diagnosi di tossicodipendenza è uno dei fattori di rischio su cui Antigone ha acceso i fari perché, per come sono concepite e strutturate gran parte delle strutture penitenziarie, diventa più difficile il percorso di recupero di detenuti tossicodipendenti mentre sarebbe preferibile che fossero i servizi territoriali a prendere in carico queste persone prevedendo per loro dei percorsi mirati. «Inoltre è in aumento, tra i detenuti, il consumo di psicofarmaci anche in assenza di una diagnosi o di una terapia medica», fa sapere il presidente di Antigone Campania Luigi Romano. È il segnale di disagi e sofferenze che rendono le carceri delle bombe pronte a esplodere. Spesso si assiste a rimpalli di responsabilità per le criticità legate alla gestione di detenuti che hanno comportamenti che necessitano di particolari cautele. La legge prevede delle misure da adottare ma «l’esplosione dei regimi, che si auspica possano essere regolamentati e stabilizzati – osserva il presidente Romano, facendo riferimento in particolare all’articolo 32 del decreto 230 del 2000 relativo all’assegnazione e al raggruppamento dei detenuti per motivi cautelari – ha trasformato di fatto le celle di isolamento in luoghi di contenzione dei casi più difficili, anche quelli psichiatrici, svuotandosi della funzione originaria».
Dall’inizio dell’anno si sono contati in Campania tre detenuti morti suicidi in cella e non si contano, invece, i gesti di autolesionismo. Vivere in celle sovraffollate, dove bisognerebbe stare in quattro e ci si ritrova invece in sei o anche in otto, non è semplice. La vivibilità è difficile anche se si pensa che ci sono celle con schermature alle finestre che impediscono il passaggio di aria e luce naturale. E, con il caldo di questi mesi, è ovvio che la vita in questi luoghi diventi infernale. Dal 31 dicembre 2020, la Campania è tra le sette regioni in cui la popolazione detenuta risulta aumentata e detiene anche il triste primato dei bambini reclusi: dodici sono i bambini che si trovano con le loro mamme all’Icam di Lauro. Resta enorme la sproporzione tra numeri di detenuti reclusi e unità di personale, tra educatori, psicologi e mediatori, assunti per garantire percorsi di rieducazione. Antigone propone un intervento urgente, oltre che di riforma dell’ordinamento penitenziario, anche sul piano delle assunzioni di personale civile facendo notare che la detenzione costa allo Stato tre miliardi, di cui il 68% è impiegato per la polizia penitenziaria, e che il rapporto medio negli istituti visitati è di un poliziotto penitenziario ogni 1,6 detenuti e di un educatore ogni 91,8 detenuti.
