Il Consiglio d’Europa boccia le carceri italiane: sono le più sovraffollate dell’Unione Europea. Non una novità. I dati: 120,3 detenuti per ogni 100 posti. La bocciatura senza appello emerge dal rapporto del Consiglio d’Europa Space, una fotografia annuale delle condizioni in cui versano i sistemi penitenziari dell’organizzazione paneuropea. Secondo il rapporto dell’Associazione Antigone al 28 febbraio 2021 i detenuti in Italia erano 53.695, 7.533 in meno rispetto al 2020. Un calo del 2,2% frutto del lavoro della magistratura di sorveglianza e non dei provvedimenti legislativi. Nessun miglioramento da un punto di vista del sovraffollamento, ancora al 106,2 per cento.

Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale fondata nel 1949 con il Trattato di Londra, composta da 47 stati membri, con sede a Strasburgo, in Francia. Non fa parte dell’Unione Europea. Promuove la democrazia e i diritti umani. L’Italia non è certo l’unico Paese ad avere un problema con le carceri sovraffollate. Il record negativo spetta alla Turchia: 127 carcerati ogni 100 posti, in media 11 detenuti per cella. La Turchia è protagonista di un giro di vite esploso con il fallito golpe del 2016. Da allora migliaia di funzionari, agenti, giornalisti, semplici cittadini, anche solo sospetti del putsch, sono stati arrestati.

In Unione Europea a registrare il dato peggiore è comunque l’Italia. La media dei detenuti per cella è pari all’1,9. La statistica mentre oggi si registra un drammatico suicidio in carcere: quello di Sabatino Trotta, dirigente della Asl Pescara, che si è tolto la vita nel carcere di Vasto, in provincia di Chieti, a poche ore dal suo arresto per corruzione. Sono stati 61 i detenuti che si sono tolti la vita nel 2020, la maggiora parte giovani. Da vent’anni non si registrava un numero così alto.

Restando in Unione Europea, per quello che riguarda il rapporto: in Belgio 117 detenuti ogni 100 posti, in Francia e Cipro 116, Ungheria e Romania 113, in Grecia e Slovenia 109. Marcelo Aebi, professore responsabile per il rapporto Space, osserva che analizzando i trend della popolazione carceraria in Italia dal 2000, il Paese sembra avere due strade per risolvere la questione del sovraffollamento. La prima è “ridurre la durata delle pene”, e la seconda è “di costruire più prigioni”, anche perché, afferma Aebi, “le amnistie, come quella del 2006, non risolvono il problema”.

Questo giornale si è sempre espresso per le pene alternative, la commutazione delle condanne, gli sconti di pena. Costruire nuove carceri mentre si aboliscono le pene di morte, si decidono moratorie alle esecuzioni e si immaginano alternative alla pena sarebbe tuttavia uno spreco di risorse che potrebbero invece essere investite nella prevenzione del delitto e del reato. Il Riformista ha promosso anche un appello, insieme con le Camere Penali, rivolto al governo, per varare un decreto per azzerare il sovraffollamento delle carceri.

“Almeno 20mila ma forse di più. Senza nessun rischio per l’ordine pubblico, perché i detenuti che potrebbero ottenere la liberazione in questo modo sono tutti detenuti che appartengono ai ‘piani bassi’ dell’illegalità. Tutte persone condannate a pene molto piccole, inferiori ai due anni, oppure anche a pene superiori ma che ormai hanno scontato quasi interamente – scriveva il direttore Piero Sansonetti – Dopodiché è giusto che le forze politiche si confrontino con il tema generale dell’amnistia e dell’indulto. Perché amnistia e indulto non sono solo dei provvedimenti legislativi ma rappresentano una idea di Giustizia molto molto lontana dall’idea che la Giustizia sia un sistema che permette di scaricare le proprie rabbie e realizzare la vendetta”. A partire dal 1992 l’amnistia viene disposta con Legge dello Stato, votata a maggioranza dei due terzi dei componenti sia della Camera dei deputati che del Senato della Repubblica.

Alla ministra della Giustizia Marta Cartabia un appello da parte della senatrice del Partito Democratico Monica Cirinnà, segretaria della Commissione Giustizia, alla luce del rapporto Space: “È, molto semplicemente, una vergogna e una palese violazione della Costituzione, ulteriormente aggravata dall’emergenza sanitaria: come può essere attuato l’articolo 27 se non si garantiscono condizioni minime di esistenza dignitosa alle persone detenute? L’ho detto molte volte e lo ripeto ancora: il profilo civile di uno Stato, e la stessa tenuta della democrazia e dello stato di diritto si misurano anzitutto sul grado di tutela della dignità delle persone affidate alla custodia dello Stato”.

L’articolo 27 della Costituzione osserva che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.  Cirinnà dunque rivolge “un appello alla ministra Cartabia, che ha sempre mostrato, da studiosa e da Presidente della Corte costituzionale, una sensibilità non comune su questi temi: affrontiamo una volta per tutte la questione, Governo e Parlamento insieme, con coraggio e senza esitazioni. La risposta non può essere quella di costruire nuove Carceri: la strada è piuttosto quella di valorizzare quella pluralità delle ‘pene’ insita nell’articolo 27 della Costituzione e direttamente funzionale al principio del reinserimento sociale del condannato”.