Questo è il momento giusto
La riforma della giustizia della Cartabia parta dall’amnistia
Il Governo Draghi inizia a operare sotto gli auspici di un nuovo Risorgimento. È nelle aspettative di molti. Non solo il primo obiettivo dell’uscita da una emergenza sanitaria ed economica nazionale, oltre che internazionale, ma anche, insieme a questo scopo di per sé autosufficiente, la realizzazione delle premesse perché non si tratti di evitare semplicemente i gravi rischi di recessione, isolamento europeo, assenza di prospettive generazionali per un indebitamento irrecuperabile, prevedibili divisioni laceranti nel corpo sociale e politico.
Nel secondo obiettivo, strettamente legato al primo, rientrano infatti la ripresa, la rinascita, e un nuovo corso, resi possibili dai finanziamenti straordinari ottenuti a seguito della pandemia. Come sempre avviene, questi orizzonti non sono costituiti solo da numeri, economie e interessi materiali. Le premesse del funzionamento della giustizia civile e anche della disciplina dell’insolvenza, nel quadro di un’azione economica di recupero del sistema produttivo, appaiono davvero importanti. E la loro priorità di agenda agevola l’uscita dal clima panpenalistico che ha ispirato in vario modo gli ultimi due precedenti governi in materia di giustizia. La società civile viene prima della macchina punitiva.
Tuttavia alcuni problemi permanenti del sistema, aggravati e non alleviati da provvedimenti di strumentalizzazione politica della giustizia penale che risalgono a più legislature, non potranno essere rinviati per intero al prossimo Parlamento. Anzi, solo un esecutivo di unità nazionale ha l’opportunità di azioni parlamentari sorrette da una maggioranza altrimenti impensabile.
L’amnistia, come noto, è un tipo di provvedimento che venne di fatto rimosso dalla legislazione dopo Tangentopoli e la fine della Prima Repubblica, con la previsione (art. 79 Cost.) di una maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Si starebbe quasi per dire: adesso, o mai più. Non per regalare impunità, ma per gettare le basi della riforma della giustizia penale. Uno scopo non semplicemente utile, ma davvero necessario. Ci sono nel Paese forze politiche o movimenti di opinione che vorrebbero cancellato l’istituto dell’amnistia come se fosse retaggio di secoli di privilegi e disuguaglianze. Ma se esso esiste ancora, in un quadro costituzionalmente corretto, è esattamente per situazioni come la nostra. L’amnistia è una depenalizzazione parziale, perché opera solo sul passato. Chi non si oppone alla depenalizzazione, che riguarda passato e futuro (peraltro votabile con maggioranze ordinarie), non dovrebbe avere preclusioni di principio, e in ogni caso, contro un istituto di rilevanza costituzionale solo retrospettivo. Ma la depenalizzazione può seguire o accompagnare l’amnistia, ovviamente, riguardando altri reati.
Non credo tuttavia che sarebbe sufficiente a fare ripartire l’organizzazione della giustizia su basi solide, che costituisce il primo obiettivo. Non sarebbe da sola risolutiva, perché in parte ininfluente: da decenni se si toglie un reato se ne aggiungono poi altri dieci, perché non esiste una riserva di legge rafforzata per introdurre i reati, ciò che sarebbe assai più importante di una riserva costituzionale per abolirli temporaneamente; e in parte risulterebbe una soluzione modesta: soprattutto reati di scarso impatto processuale sono facilmente depenalizzabili in uno Stato che punta (troppo, di sicuro) sul penale come etica pubblica, e dove le persone più smaliziate pensano che “se non è penale” ogni illecito si può mettere nel budget; e poi perché comunque trasferirebbe gli accertamenti su altri giudici (non penali), senza risolvere un difetto del sistema. Dunque realisticamente in un’ottica deflativa essa avrebbe un effetto parziale e forse anche passeggero.
Se invece intesa in una dimensione non di puro sfoltimento, si tratterebbe di un impegno importante, capace di dare un segnale forte alla gente comune, alla società tutta, che non ha compreso che oggi la legislazione penale è una vera emergenza, più della stessa criminalità. Tutti sono a rischio penale e i magistrati delle Procure vanno salvati dal loro abnorme successo massmediatico (più che processuale). Sono di grande utilità anche le depenalizzazioni in concreto, quelle che non eliminano i reati, ma solo il provvedimento punitivo, tuttavia a determinate condizioni di serie misure o condotte riparatorie, risarcitorie alternative. Sono soluzioni, peraltro, che non alleggeriscono i compiti del giudice e per questo occorre che una depenalizzazione maggiore di questo tipo sia preparata da un provvedimento davvero incisivo sul processo, perché le depenalizzazioni serie devono ancorarsi a principi più solidi, e non dipendere da bisogni contingenti e strumentali di mera deflazione.
Proprio per questo una amnistia si può accogliere come una premessa idonea a liberare il tavolo dei magistrati senza apparire un “colpo di spugna” sul piano dei princìpi e della tutela futura, perché ha la più nobile finalità di preparare e accompagnare, in un clima rinnovato di solidarietà, una più ampia riforma della giustizia. Naturalmente, si tratterebbe di provvedimento che, collegato a un contestuale indulto, guarda anche al carcere, e al suo sovraffollamento, calibrandosi sulle scelte politiche ritenute più opportune.
Non si deve invece coltivare il retropensiero che questi steps siano mezzi politici per accontentare alcune parti sociali, elettori o peggio ancora aree criminali. Il progetto deve rimanere generale e il passo successivo riguardare riforme di fondo, processuali e penali: sono solo le premesse di una crescita nei valori del patto costituzionale ora rinnovato, ma anche strumenti adeguati a renderlo possibile. La valenza anche simbolica e culturale del penale, non di quello solo “di lotta” e “di guerra” contro i nemici della società, potrebbe ritrovare in questo tipo di disegno un senso condiviso.
© Riproduzione riservata