Draghi ce l’ha fatta. Il primo tempo destinato alla formazione della squadra dei ministri ha dato risultati in parte attesi, in taluni casi molto importanti, vista l’alta qualità delle new-entry. Alcuni sicuramente eccellenti, i nuovi ingressi sono fondamentali per una ricostruzione sistemica per riportare il Paese su di una soglia di credibilità e di efficienza operativa, ormai giunta in questi ultimi anni a livelli insostenibili per il grado di incapacità e attendibilità. In tutta evidenza i principali ministeri-chiave per la ripresa strutturale sono nelle mani del presidente del Consiglio, alcuni di questi anche “strappati” ai precedenti titolari politici, decisamente ora affidati alle responsabilità di personalità di altissimo spessore e di grande esperienza.
Il che lascia sperare che molti dei mali profondi che hanno afflitto l’Italia e sono tuttora presenti (inefficienza, burocrazia, scuola, malagiustizia, differenze territoriali, malasanità, fisco, per elencarne alcuni), possano finalmente essere curati nell’immediato e risolti in via definitiva per i prossimi decenni in base a una nuova impostazione politico-programmatica di vasto respiro che abbia, nel più distante orizzonte temporale dei futuri trenta o quaranta anni, finalmente una visione di Paese moderno e democratico dove, tra i più urgenti, anche il “servizio giustizia” trovi finalmente un suo più appropriato assetto e funzionamento.

La decisa quanto auspicata rimozione di Bonafede, sostituito con la costituzionalista Marta Cartabia, meritoriamente è stata posta alla guida di un dicastero che necessita di urgenti riforme strutturali di importanza strategica per la giustizia civile, penale e per i diritti di coloro che sono in carcere, detenuti, polizia e personale civile. Basti pensare alla drammatica realtà in Campania, in particolare a Poggioreale, Secondigliano e Nisida. Non va dimenticato peraltro che la guardasigilli ha rivelato in più occasioni una spiccata sensibilità verso temi delicati, come quello della rieducazione dei detenuti e della condizione delle madri nelle carceri; negli anni passati alla Corte Costituzionale, ha avuto il merito di operare una vera e propria rivoluzione nel meccanismo di giudizio, aprendo le porte ai pareri esterni al perimetro della Consulta, dando ufficialità alla partecipazione della società civile nei giudizi.

Una professionalità e un’energia straordinarie che auspichiamo possa esprimere appieno anche in questo nuovo contesto, tenuto conto, che serviranno capacità non comuni per affrontare una delle riforme che si preannunciano più divisive all’interno dell’esecutivo Draghi: quella, appunto, della giustizia. Per questo alla Ministra auguriamo, nella fase in cui debbono essere nominati i sottosegretari, di potersi garantire le necessarie assistenze da parte di chi è al corrente, dall’interno, anche delle meno note questioni penitenziarie.

Realtà non sempre trasparenti, spesso solo in possesso dei giudici o dei giuristi presenti in via Arenula che comunque controllano in ogni senso ogni complessa dinamica. Sarebbe auspicabile che la vasta problematica dell’esecuzione penale riguardante la non rinviabile riflessione su cosa significhi oggi la funzione della detenzione e delle sue finalità, direttamente connessa anche ai problemi dell’edilizia penitenziaria, possa avvalersi oltre che del contributo di giuristi ed esperti di diritto presenti nel Ministero, anche dell’apporto di un più vasto perimetro culturale e professionale allargato alle competenze multidisciplinari.

Dal fenomeno della radicalizzazione a quello dell’evitamento della recidiva e del necessario reinserimento nel contesto sociale, fino all’obiettivo della difesa della famiglia, dei diritti umani e affettivi, oltre che dello stress e dei suicidi di chi lavora in carcere, sarebbe augurabile una riflessione intorno alle nuove tecnologie, sostenuta dagli indispensabili apporti culturali di antropologici e sociologi, assistiti dagli esperti di neuroscienze. Insomma, è necessario che il nuovo Ministero muova verso modelli interpretativi sistemici che riguardino con una nuova ottica tutte le problematiche della detenzione in diretto collegamento con le realtà territoriali di competenza (Città metropolitane, trasporti, urbanistica, servizi e assistenza). Il futuro della riflessione sull’esecuzione della condanna e del suo significato deve passare in primo luogo per la riduzione della recidiva e per la proposta di nuovi modelli organizzativi destinati a supportare le istituzioni trasformandosi in servizi per il territorio.

L’orizzonte dell’esecuzione penale dovrà inevitabilmente recuperare il ruolo sociale del cittadino privato della libertà, sviluppando nuovi modelli operativi/organizzativi con le conseguenti strutture edilizie in grado di attuare innovativi criteri metodologici, coinvolgendo centri di ricerca e accademici pubblici e privati nell’ambito delle neuroscienze, della neuroarchitettura, delle scienze antropologiche e psicosociali, oltre che giuridiche e filosofiche. Il sequestro del tempo come condanna deve trasformarsi nella civile opportunità di recupero, nell’interesse del detenuto e del corpo sociale tutto.