Ancora non sappiamo se il Governo del prof. Draghi vedrà la luce, come tutti auspichiamo. Ci sono tutte le premesse perché una crisi politica bollata come irresponsabile pressoché da tutti i protagonisti politici e dalla quasi totalità dei media, finisca invece per affidare la guida del Paese ad un Governo di autorevolezza e forza fino a ieri semplicemente impensabili. In questi tre anni, secondo la abusata citazione cinefila, «abbiamo visto cose che voi umani nemmeno potreste immaginare».

L’incompetenza elevata a virtù, la improvvisazione come garanzia di purezza morale, la mancanza di storia politica come vanto. Siamo ancora increduli che, a Parlamento invariato, possa realizzarsi un simile miracolo: perciò restiamo in trepida ma prudente attesa, come di chi fatica a credere ai propri occhi. In questa miracolosa e quasi inspiegabile palingenesi che parrebbe potersi avverare, occorrerà tuttavia comprendere quale potrà essere il destino della politica giudiziaria nel nostro Paese. Abbiamo già avuto modo di sottolineare come, dati incontrovertibili alla mano, il Governo del populismo giustizialista sia naufragato rovinosamente proprio contro lo scoglio della riforma totemica, emblematica di questa sciagurata, mediocre stagione politica, quella che ha abrogato un istituto di antica civiltà giuridica che è la prescrizione dei reati.

Un istituto, lo ripetiamo fino alla nausea, che garantisce un principio di civiltà basico ed elementare: se uno Stato non è in grado di pronunciare entro un tempo ragionevole una sentenza definitiva in ordine alla responsabilità dell’imputato, ha il dovere di rinunziare all’esercizio della sua potestà punitiva. Solo un Paese impazzito può rivendicare con orgoglio di aver licenziato una legge che consente di mantenere letteralmente a tempo indeterminato un imputato, per di più assistito dalla presunzione di non colpevolezza, prigioniero del suo processo. Se il Governo Conte bis ha dovuto dimettersi perché altrimenti la relazione di bilancio annuale della politica giudiziaria del suo Ministro Guardasigilli sarebbe stata bocciata in Parlamento, significa che la maggioranza del Parlamento si oppone a quella politica giudiziaria. È molto semplice.

Sicché leggere che i Cinque Stelle già pongono al prof. Draghi, come condizione per il sostegno al suo Governo, la intangibilità di un obbrobrio come tale valutato dalla maggioranza del Parlamento, la dice lunga sulla partita che si sta aprendo sui temi della Giustizia. Perché ovviamente la riforma della prescrizione è solo il volto più visibile di una complessiva idea di giustizia penale, in ordine alla quale occorre che si faccia da subito chiarezza. Conterà certo la persona del nuovo Guardasigilli, ma più e prima ancora le idee di fondo alle quali il Governo intende ispirare la nostra politica giudiziaria. Leggiamo che da tutti si invoca, come un mantra, una riforma del processo penale che riduca i tempi, del tutto irragionevoli, del processo in Italia; ed è facile immaginare che sentiremo proclamare questo obiettivo anche dal Prof. Draghi.

Siamo talmente d’accordo da aver lavorato per oltre un anno al tavolo voluto dal Ministro Alfonso Bonafede, cioè dal Ministro più lontano dal nostro modo di intendere la giustizia penale, giungendo ad un risultato molto significativo perché condiviso anche con l’Anm di allora. Straordinario potenziamento dei riti alternativi e del filtro della udienza preliminare, forte depenalizzazione: ecco la via maestra per ridurre drasticamente i tempi del processo, lasciando intatte le garanzie dell’imputato. Quel patrimonio è andato disperso, e la legge delega non ha più nulla a che fare con gli approdi di quel tavolo, avendo scelto di nuovo di privilegiare riforme che non incideranno sulla riduzione dei tempi, ma che soddisfano inestinguibili pulsioni contro-riformatrici del giusto processo (impugnazioni, principio di oralità ed immediatezza), riemerse con forza.

Dunque, non basterà dire: processi più rapidi. L’obiettivo è condiviso, ma le soluzioni impongono scelte tutt’altro che neutre. Intanto, i penalisti italiani faranno dono, ai membri del nuovo governo ed a tutti i parlamentari, della nuova indagine sulle vere cause della durata irragionevole dei processi in Italia, condotta con l’Istituto Eurispes, la cui pubblicazione è stata ovviamente ritardata dalla crisi pandemica. Per quanto nelle nostre forze, faremo in modo che, su questo tema cruciale, nessuna mistificazione sia consentita. Chiediamo solo attenzione e rispetto della verità: da un Governo del livello che si va profilando, ci aspettiamo di essere rassicurati che il tempo degli ideologismi giustizialisti sia definitivamente alle nostre spalle.

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Avvocato