La sintesi
Marta Cartabia difende la prescrizione, la Costituzione e attacca la riforma Bonafede
In una intervista rilasciata domenica a Repubblica, la neoeletta alla presidenza della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, ha restituito un’idea di giustizia garantista, lontana dalla cultura giustizialista contemporanea, così abituata alla retorica del “buttare la chiave”. Ed è a questo proposito che la presidente ha ricordato «il volto costituzionale della pena», chiarendo che «l’articolo 27 della Costituzione parla di pena, non solo di carcere», ma soprattutto che esso deve mirare «alla rieducazione del condannato oltre che dargli una seconda chance». Una Corte, quella a guida Cartabia, erede di una linea che già da alcuni anni, secondo la presidente, mira a realizzare il rispetto dei tre principi di «proporzionalità, flessibilità della pena e individualizzazione», in modo da evitare rispettivamente pene eccessive, fisse e inflessibili nel corso dell’esecuzione. Durante l’intervista, Cartabia ha più volte associato la sua idea di giustizia a una serie di aggettivi antropomorfi, («una giustizia umana», «il volto umano della giustizia»), e, appellandosi all’art. 27, per il quale «la pena non deve mai essere contraria al senso di umanità», ha specificato che «la Carta tutela tutti, a partire dagli ultimi: poveri, migranti e carcerati».
Ad avvalorare la sua tesi di rieducazione e accoglienza, la presidente ha riportato la storia di Liz, una ragazza dominicana, invischiata nel traffico di stupefacenti, «dopo un percorso travagliatissimo, ormai maggiorenne, il suo tenace cammino di rinascita rischiava di essere interrotto dall’espulsione una volta uscita dal carcere». Cartabia ha raccontato che solo grazie all’intervento di molti, e all’efficacia di una politica di accoglienza messa in atto dal giudice, questa storia ha avuto un lieto fine, «dando a Liz una concreta speranza di vita in Italia». Interrogata dalla sua intervistatrice a proposito della posizione assunta dalla Corte sulla legge Spazzacorrotti, Cartabia ha risposto fermamente: «La Spazzacorrotti ha inasprito il regime penitenziario per i reati contro la pubblica amministrazione, assimilandoli a quelli di criminalità organizzata e terrorismo, ed è stata applicata anche ai reati commessi prima della sua entrata in vigore». Ha poi specificato che la decisione della Corte non ha colpito la legge, «ma la sua interpretazione retroattiva, con una sentenza che tecnicamente definiamo “interpretativa di accoglimento”». La presidente ha parlato della decisione presa, come di «un’importante innovazione», in quanto «il divieto di retroattività delle leggi penali riguarda anche quei cambiamenti nel regime penitenziario che comportano una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato».
Anche a proposito della prescrizione e dei lunghi tempi che impiega la giustizia per emettere una sentenza di condanna o di assoluzione, la presidente ha preso una chiara posizione: «È evidente che i processi troppo lunghi si tramutano in un anticipo di pena anche se l’imputato non è in carcere», aggiungendo «che il processo debba avere una ragionevole durata è un principio di civiltà giuridica scritto nelle norme internazionali ed esplicitato nella Costituzione dal `99». Sebbene Cartabia faccia riferimento a una serie di fattori “legittimi” che possono concorrere alle lungaggini del processo («di natura organizzativa, altri legati alla necessità di accuratezza delle prove e alle garanzie per l’imputato»), la necessità di risolvere questo problema si fa impellente e «richiede un’azione su vari fronti. Certamente una riflessione pacata di tutti, al di là di ogni steccato ideologico».
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