La riforma
Cancellare Bonafede, sulla giustizia Draghi dimostri più coraggio

Ho ascoltato, con molta attenzione, il discorso del Presidente Draghi al Senato e non posso nascondere che sono rimasto deluso, benché in parte me lo aspettassi, per quel che attiene alla “questione giustizia”. Poche parole sulla informatizzazione, sul processo civile e sulla auspicata uniformità delle decisioni; e null’altro, tranne un accenno alla lotta alla corruzione.
Eppure, il tema della riforma della giustizia dovrebbe essere centrale, perché rilevantissimo; e non può essere trascurato. Parrebbe invece che, poiché la giustizia è argomento potenzialmente divisivo, si preferisca non parlarne neppure, non far nulla o fare il meno possibile. Magari toccando la sola giustizia civile. Temo di avvertire che il clima che si respira in materia non è tanto da (quasi) unità nazionale, ma sembra essere, più crudamente, da immobilismo generale, sia pur ammantato da comprensibile prudenza. Certo, spero di sbagliarmi; e la nomina di Marta Cartabia a ministro della Giustizia indurrebbe moderato ottimismo, considerata la sua sensibilità – tra l’altro – per i temi delle garanzie e dei diritti dei detenuti.
Tuttavia, oltre al discorso del presidente Draghi, ci sono già altri segnali che non inducono fondate speranze. Infatti, per iniziativa di esponenti di diverse forze politiche, alla Camera, gli emendamenti al decreto legge Milleproroghe, che miravano a bloccare la riforma Bonafede della prescrizione per almeno un anno, non saranno oggetto di voto. Ma anche sul disegno di legge Bonafede in materia di riforma del processo penale, nel quale è contenuto il cosiddetto lodo Conte-bis, che distingue tra assolti e condannati nella sospensione della prescrizione, si è registrato un rinvio per la presentazione degli emendamenti, alla luce della nuova situazione politica.
Prendere tempo sembra essere l’atteggiamento diffuso. Ma di tempo non ne abbiamo più. Il quadro della giustizia, nel nostro Paese, è a tinte fosche. E i cittadini hanno ormai una preoccupante sfiducia nella giustizia e in chi la dovrebbe amministrare, non lo dimentichiamo mai, “in nome del popolo” (art. 101 Cost.). La vicenda Palamara, della quale ho scritto su questo giornale qualche giorno addietro, come pure l’accoglimento da parte del Tar dei ricorsi contro la nomina di Michele Prestipino a capo della procura di Roma, per citare due casi emblematici, indurrebbero a riforme coraggiose e tempestive dell’ordinamento giudiziario e del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura. Occorrerebbe, poi, una seria attuazione dell’art. 111 della Costituzione, garantendo, tra l’altro, la ragionevole durata del processo.
Noto, al riguardo, che nel discorso del presidente Draghi vi è stato un ripetuto richiamo ai valori dell’europeismo. Mi permetto, allora, di ricordare come il nostro Paese dovrebbe rispettare pienamente la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, peraltro firmata a Roma il 4.11.1950, e ratificata ai sensi della legge 4.8.1955, n. 848, i cui princìpi possono essere fatti valere di fronte alla Commissione europea dei diritti dell’uomo, al comitato dei ministri e, soprattutto, alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo. Basterebbe il pieno rispetto del diritto a un equo processo, di cui all’art. 6, e al nulla poena sine lege (proprio così, in latino…), fissato dall’art. 7, per avere una giustizia migliore, anche in Italia.
Ma non basta certo guardare solo al sistema penale e a quello civile. È necessario incidere sulla giustizia amministrativa, che spesso contribuisce a ingessare la pubblica amministrazione, che già di per sé non brilla per rapidità ed efficienza, con tutto ciò che le ruota intorno (dai concorsi agli appalti, dalle concessioni alla concorrenza…). Per non parlare della giustizia tributaria, che neppure gode di buona salute, come dimostra anche l’estrema sofferenza della apposita sezione presso la Corte di cassazione.
L’unità invocata dal presidente Draghi dovrebbe tramutarsi in una coesione nel proporre soluzioni utili per il Paese, e non può tradursi nell’essere tutti d’accordo nel non fare nulla o nel fare poco. Il momento è serio, se non drammatico; e richiede soluzioni coraggiose. Certo, non su tutto si possono immaginare opinioni comuni. Ma meglio divisioni operative, per migliorare la situazione attuale, che un unanimismo di facciata, teso a non mutare nulla. Almeno sulla giustizia, non ce lo possiamo permettere.
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