L’Ucraina è in ginocchio, tutti lo sanno – i russi per primi – ma nessuno ne parla volentieri. Specialmente gli americani che, più degli europei e degli inglesi, hanno illuso quel popolo e quel Paese ripetendo che non lo avrebbero mai abbandonato, mai fatto restare senza armi e munizioni. I morti ce li mettete voi, la sofferenza, il terrore e le fosse comuni sono un vostro privilegio, ma non vi abbandoneremo e non per bontà: non vi abbandoneremo perché altrimenti Putin riceverebbe il messaggio sbagliato. Questo è il modo di pensare di Biden e della vecchia scuola dei democratici che affrontavano la guerra fredda con molto calore: John Kennedy e la crisi dei missili a Cuba, Lyndon Johnson che bruciava la Cambogia, Bill Clinton che bombardava Belgrado. E poi Obama in Africa e Biden in Ucraina. E i repubblicani? Il verbo di “the Donald” (come la moglie chiama Trump), ribalta la posizione. Così l’Ucraina sta avendo quel che si merita. È finita l’epoca in cui tutti potevano sfruttare gli Stati Uniti per farsi proteggere. Sostenete di essere una grande nazione? Dimostratelo. Di qui l’unica certezza che nel mondo ha: se vincesse Joe Biden le elezioni del 4 novembre l’esercito ucraino che oggi sta affondando nel suo stesso sangue avrebbe armi e munizioni per combattere e cacciare i russi dalla loro terra.
Poi c’è un terzo osservatorio, ed è il Cremlino, dai cui immensi saloni grondanti ori, cristalli, sete, drappi e chincaglieria da Disneyland russa, il presidente Putin guarda con freddezza la scacchiera su cui l’intero pianeta sta giocando il suo futuro. L’economia russa non va affatto così bene, infatti nel complesso i beni di prima necessità rincarano continuamente. Ma si è visto un fatto nuovo e insperato: la crescita delle fabbriche di armi e di munizioni che non si vedeva dai tempi dell’unione sovietica. Con la differenza che oggi le aziende statali tutte possedute dagli oligarchi si possono permettere di pagare stipendi principeschi ai loro dipendenti più creativi che progettano ormai con grande efficacia cannoni computerizzati capaci di spostarsi sul terreno subito dopo aver sparato le loro munizioni e che sono per qualità e quantità molto superiori alle armi occidentali. Questo significa che da un anno a questa parte l’armata russa non è più ridicolizzata come al tempo dell’inizio della guerra, e sta vincendo. E il popolo russo nel complesso si adatta alla guerra molto di più e molto meglio di quanto sarebbe piaciuto agli occidentali. È vero che la morte di Navalny ha provocato una commossa sollevazione di spiriti critici che soffrono sotto il tallone di una dittatura che fa ancora finta di essere una democrazia, tanto che fra pochi giorni si celebrerà l’inutile e fastoso rito delle elezioni generali. Ma nel complesso la classe media è soddisfatta perché gli stipendi crescono e il loro potere di acquisto è proteso verso i giocattoli elettronici cinesi e le ultime novità dell’intelligenza artificiale. La Russia non scoppia di benessere e gli economisti prevedono che a breve termine i nodi verranno al pettine. Ma proprio per questo Vladimir Putin intende accelerare il ritmo del suo martello distruttivo e chiudere la partita Ucraina incamerando tutto ciò che voleva incamerare.
L’Europa intanto ha scoperto di avere gli arsenali vuoti. Tutte le munizioni erano state immagazzinate per puro scrupolo visto che nessuna guerra era realmente all’orizzonte. L’Italia stessa ha votato le riserve più preziose della sua tecnologia. Così hanno fatto la Francia e il Regno Unito, benché questi due paesi abbiano possibilità a noi non consentite. Ma c’è poi la Germania: una Germania di sinistra con un cancelliere socialista e una ministra degli Esteri ecologista. Tuttavia, da un anno a questa parte Olaf Scholz ha annunciato al mondo l’inattesa novella: “Germany is back”, come dicono gli americani di orientamento democratico. Il Reich disarmato dalla cancelliera Angela Merkel dopo la riunificazione aveva rifiutato di partecipare a qualsiasi missione estera con un esercito che – come hanno detto gli ufficiali britannici durante le ultime esercitazioni della Nato – si comporta come al picnic e che si rifiuta di guidare i carri armati. Perché anche questa è una conseguenza degli anni Novanta, quando la Germania ingurgitava sensi di colpa collettivi e irreparabili, costretta ad un pacifismo totale ed assiomatico, a ausa del quale i tedeschi hanno dimenticato come fare una guerra. Olaf Scholz ha deciso due cose: la Russia, eterno partner religioso della Germania, è tornata ad essere un nemico; e che è ora di tornare a fare le persone serie e incutere un ragionevole rispetto. Tuttavia la realtà è sempre contraddittoria, e quindi mentre si riarma, la Germania ha comunque bisogno dell’energia non rinnovabile russa per far andare la sua enorme industria automobilistica che rende pazzo di ira il repubblicano americano Donald Trump. Fu proprio la Germania di Angela Merkel a scatenare la furia antieuropea di Trump che accusa i tedeschi di essersi arricchiti alle spalle degli americani risparmiando su un sistema militare costoso, con la conseguenza che le automobili tedesche escono dalla catena di montaggio a un prezzo nettamente inferiore di quelle americane invadendo il mercato statunitense e danneggiato dalla disoccupazione e dalla concorrenza sleale.
Quanto di tutto ciò influisce sulle tendenze di voto alle imminenti elezioni americane? La risposta è semplice: zero. Zero perché è pari a zero l’interesse dell’elettore degli Stati Uniti la cui preoccupazione è concentrata sul prezzo delle groceries, la borsa della spesa quotidiana, la spesa sanitaria e i continui rincari. Dei sanguinosi turbamenti europei all’elettore del Michigan o dell’Alabama non importa nulla. Ed è qui che attecchisce la martellante propaganda di Trump, il quale evoca l’età dell’oro, l’isolazionismo perfetto di un pianeta America separato dal pianeta terra, protetto da due oceani ai lati e due vicini di casa come il Messico a sud e il Canada a nord, abituati ad un atteggiamento rispettosissimo nei confronti della più grande e potente fabbrica di ricchezza senza competitori. Biden ha ieri contrapposto al disegno di Trump una stangata fiscale pesantissima a tutte le aziende più ricche e a un simmetrico sconto fiscale alla classe media. Anche su questo lo scontro è totale nella pratica più che nell’ideologia, perché nel suo quadriennio Donald Trump ottenne miracoli dalla dottrina opposta finché non si presentò sulla scena la pandemia che tutto sconvolse. Ma la ricetta Trump è oggi esattamente come ieri: il contrario di quella Biden. Perché promette di detassare fortemente le aziende che per un impulso naturale della ricerca della ricchezza aumentando i propri profitti facendo immediatamente crescere quelli di dipendenti e consumatori. E infatti le cose stavano andando così prima del virus. E fu il virus a dare una dimensione di inaspettata e ansiosa stravaganza quando Trump perse il controllo della politica di vaccinazione, così come accadde a Boris Johnson nel Regno Unito.
Il convitato di pietra che da allora ad oggi siede minaccioso e imperturbabile è la guerra. O meglio, la normalità della guerra e la sua cinica praticità per risolvere questioni che il mondo non era più abituato a fronteggiare: le questioni imperiali, derivate dallo smembramento degli imperi in particolare quello austro ungarico e quello ottomano cui seguì nel 1992, lo smembramento dell’unione sovietica deciso in rapida successione da Michail Gorbaciov e da Boris Yeltsin. Dopo la fine della guerra fredda ci siamo trovati davanti a un fenomeno incomprensibile per anni ma che poi è apparso chiaro: la Turchia come la Russia e l’Iran come la Cina, in un modo o nell’altro si ritengono titolati a riavere tutto ciò che era stato loro tolto secondo una logica che per cento anni non aveva trovato possibilità di esprimersi. Il mondo logico e tecnologico occidentale ha preferito non credere a quel che vedeva, soltanto perché lo trovava irrazionale. Oggi scopre la irrazionalità come uno sgradevole dato di realtà, e fatica a trovarne la logica e condividerla in un’alleanza. È questo e il compito dell’Unione europea chiamata a togliersi i paraocchi, rimboccarsi le maniche e guardare i fatti per quel che sono: pessimi, veri e in attesa di risposte.
