Di Angelo Guglielmi, morto ieri a 93 anni, si possono dire tante cose, ma una è certa: era coltissimo, pieno di idee e ha cambiato la storia della televisione italiana. Critico letterario raffinatissimo, attività che ha continuato ad esercitare negli anni, è stato tra i promotori del Gruppo 63 insieme – tra gli altri – a Umberto Eco, Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti, cioè l’ultima vera avanguardia italiana, a cui poi negli anni Novanta si ispirarono i giovani cannibali capeggiati da Aldo Nove. Ma il Gruppo 63 è l’ultimo tentativo di chi voleva mettere a soqquadro la cultura e la letteratura a partire dal linguaggio. E sono il linguaggio e la sperimentazione che guidano l’attività di Guglielmi anche quando arriva alla direzione di Rai3. È la più sfortunata delle reti della televisione pubblica, con ascolti da prefisso telefonico. Siamo nel 1987, sta per cadere il muro di Berlino e anche in Italia siamo alla vigilia di un mutamento profondo e radicale della vita politica e del quadro partitico. Guglielmi arriva e cambia tutto. Si inventa una nuova tv, quella che oggi è diventata maggioritaria, che vediamo in tutti i canali della tv di Stato e di quella privata.
Con lui nascono o diventano mainstream programmi come Chi l’ha visto?, Telefono giallo, Samarcanda, Mi manda Rai3, Un giorno in pretura, la telekabul di Sandro Curzi. Guglielmi teorizza l’idea della tv verità. Basta con la televisione maestra degli italiani che era stata la linea guida del potere democristiano. La tv diventa specchio della realtà, senta intermediazioni, senza filtri: essa stessa parte di quel reale che poi divorerà diventando non più specchio ma costruttrice di realtà. L’idea, essa stessa populista, con l’andare del tempo ha generato programmi sempre più giustizialisti, improntati al non rispetto della privacy. Tutto fa spettacolo, tutto finisce nel calderone delle notizie e chi se ne frega dei principi costituzionali come la presunzione di non colpevolezza. La macchina della fiction, spacciata per realtà, si mangia tutto. Ed è sbagliato, anzi sbagliatissimo, accostare agli altri programmi di Guglielmi anche Blob. Le cronache raccontano che Enrico Ghezzi lo inventa insieme al direttore di Rai3. Ma la concezione che sta dietro il programma che ci racconta il peggio della tv è l’opposto della sua filosofia.
Dietro Blob c’è Guy Debord, la critica alla società dello spettacolo. Il conflitto si sposta nelle immagini e il programma di Ghezzi (ancora oggi) smaschera la finzione: ci fa vedere come dietro l’illusione della realtà ci sia il linguaggio e quale sia il potere che lo utilizza. Al contrario la tv populista di Guglielmi illude il cittadino di essere protagonista del piccolo schermo come fruitore e come artefice; come consumatore e come cittadino. È la GENTE di curziana memoria. Il direttore di Rai3 capisce che sta per scoppiare la crisi delle ideologie, che dopo i grandi ideali c’è il vuoto, quel vuoto che nel decennio populista appena trascorso viene riempito dalla concezione che uno vale uno, che tutti siamo artefici della vita politica. Non è così. Non era così allora. Dalla fucina di Rai3 – perché comunque fu una fucina – nacque la giustizia spettacolo, quel processo mediatico che oggi è considerato uno dei mali della nostra epoca. Con Un giorno in pretura le telecamere entrano nei tribunali. Gli effetti saranno devastanti, anche se oggi quel programma – che ancora dura – sembra un’oasi di antigiustizialismo se paragonato al fratello Chi l’ha visto? dove il vero mood non è tanto la ricerca delle persone scomparse, quanto fare le indagini come se si fosse in procura e come se si fosse in tribunale emettere sentenze.
Guglielmi è stato un padre colto, che aveva una, mille idee e sapeva come supportarle. E quella intuizione della tv del reale non ha fatto altro che anticipare i tempi. Poi sono arrivati i barbari: coloro che di quella idea di tv non hanno capito il vero potenziale, ma la hanno cavalcata per mancanza di altre idee, per tornaconto personale. Sono gli anni del dominio Cinque stelle, gli anni in cui anche il populismo non ha più le sfumature che i grandi personaggi della prima Rai3 riuscirono a dargli. Oggi è facile criticare Guglielmi, è facile – a dire il vero – anche esaltarlo. Parliamo comunque di un’epoca della tv in cui si pensava, rischiava, osava. Ma il seme del populismo viene gettato allora. Succede anche per i talk. Samarcanda di Santoro è tra i primi che inventa la politica spettacolo. La tv si mangia tutto: giustizia, politica, catastrofi e anche le vite dei singoli messe in piazza a volte volontariamente come nei reality a volte obtorto collo come nei fatti di cronaca. Vite lanciate nel frullatore e divorate senza pietà. La risposta è allora Guy Debord: il conflitto agito all’interno del mondo dell’immagine, lo scarto che si può produrre nell’immagine e con l’immagine.
Da avanguardista Guglielmi lo aveva capito e oltre a creare il problema, ci aveva fornito la soluzione. Ma forse non aveva previsto che la GENTE, il pubblico, noi, a forza di venir triturati nella dimensione virtuale avremmo perso di vista la forza sovvertitrice del linguaggio. Oggi dire che molti programmi da lui inventati sono ancora vivi e sono tra i più longevi della tv, non deve essere elemento positivo. Ma di sconfitta. Perché si perde la sua eredità più importante: inventare una nuova tv, per una nuova epoca. Guglielmi lo ha fatto, noi no.
