Una bellissima sorpresa: ha vinto il premio Nobel per la Letteratura 2022 Annie Ernaux. Non era tra i soliti nomi favoriti che circolavano alla vigilia come Salman Rushdie e Michel Houellebecq. Ottantadue anni, femminista, è la prima scrittrice francese a vincerlo, la diciassettesima donna da quando esiste il prestigioso premio. “Per me – ha detto – è un grande onore e una grande responsabilità”.
Ha vinto un’autrice di grande intensità, che ha raccontato la sua vita, e attraverso la sua vita, quella di molte donne, senza retorica, in maniera scarna, inventandosi un suo stile, in cui memoria, storia, riflessione si mescolano. Uno stile moderno in cui i confini tra i generi letterari vanno a farsi benedire. Secondo l’accademia Svedese Ernaux merita il Nobel “per il coraggio e l’acutezza clinica con cui scopre le radici, le estraneità e i vincoli collettivi della memoria personale”. “Nei suoi scritti, Ernaux esamina con coerenza e da diverse angolazioni una vita segnata da forti disparità di genere, lingua e classe. Il suo percorso verso la scrittura è stato lungo e faticoso”.
In Italia era stata pubblicata la prima volta negli anni Ottanta senza ottenere il successo meritato. Ripubblicata da Lorenzo Flabbi (che è anche il bravissimo traduttore) per la casa editrice Le Orme, Ernaux ha finalmente conquistato un nuovo pubblico: alla casa editrice Le Orme ci hanno creduto quando nessuno o quasi credeva che i suoi scritti potessero avere un pubblico più ampio. Invece proprio attraverso la ripubblicazione in tante e tanti sono venuti a conoscere le sue opere e la sua storia. Una storia che ne racchiude molte altre. Da Il posto a Gli anni, il suo libro più famoso e importante, per arrivare a L’evento da cui è tratto anche il film che ha vinto nel 2021 il Leone d’oro, la scrittrice francese è come se girasse attorno allo stesso nucleo tematico. La sua storia intrecciata a quella della sua famiglia. Il genere, la classe sociale, le aspirazioni tutto viene percorso, nei diversi libri, e proposto da angolazioni diverse.
Coraggiosa, come dice la motivazione del premio, sicuramente lo è stata: per come ha messo a nudo la sua vita, per come ha raccontato il suo senso di colpa rispetto alla famiglia, per come ha raccontato i suoi cari con amore ma senza edulcorare. I genitori da operai aprono, in provincia, una piccola attività, lontani anni luce dalla vita intellettuale che Ernaux conduce. Romanzo dopo romanzo – che forse hanno ogni tanto il rischio della ripetitività – ci ha condotto ad esplorare il suo animo, le sue angosce e le sue aspirazioni più profonde. La letteratura di Ernaux costruisce un Noi a partire dalla capacità di attraversare la vita con consapevolezza.
Lo fa quando parla del padre e della madre e del rapporto che avevano. Lo fa quando parla della morte della madre, dell’amore che la legava a lei e dei sensi di colpa che non la hanno mai abbandonata. Lo fa quando racconta l’aborto in una Francia in cui era vietato. Una storia singola che per questa capacità di andare a fondo, di analizzare le pieghe della memoria e del dolore, costruisce una sorta di romanzo collettivo in cui più generazioni di donne si possono riconoscere. Ma è nello stile, in questa grande fiducia nella letteratura, che Ernaux trova il proprio riscatto. La parola per quanto approssimativa, per quanto sempre alla ricerca di una nuova prospettiva – forse per questo c’è da parte della scrittrice il riproporre alcuni nuclei tematici, alcuni nodi del passato – è l’unica possibilità che si ha di uscire dall’indistinto, di costruire passo dopo passo, capoverso dopo capoverso una narrazione che racchiuda anche la grande storia.
Non si può non pensare come i suoi libri oggi siano un puntello, un muro pacifico ma non valicabile contro chi vuole a tutti i costi farci tornare indietro, contro chi sui diritti delle donne, sulla loro libertà di scelta sta rialzando la cresta. Ernaux, tutto il suo lavorio, la sua fatica e coraggio nell’andare oltre le apparenze, raccontano come faticosamente si è costruita la libertà femminile, quanti conti abbiamo dovuto fare a partire dal rapporto con quelle madri che ci restituivano un’altra storia, un’altra idea di noi. Quanto le abbiamo dovute amare, ma allo stesso tempo quanto ce ne siamo dovute allontanare. «Niente del suo corpo è sfuggito al mio sguardo. Credevo che crescendo sarei diventata lei.»
Scrive così nell’incipit di Una donna. La storia di sua madre, del loro rapporto, un libro straziante perché vive della consapevolezza che per andare avanti la protagonista deve guardare oltre, deve superare quell’immagine, quel corpo che pure conosce così bene e che ha tanto amato. Il lavoro da operaia, poi la piccola attività commerciale, la malattia. Ma è ne Gli anni, libro del 2008, pubblicato nel 2015 da Le Orme, che questa materia incandescente diventa biografia di una generazione, quella nata negli anni 40 e che decennio dopo decennio conquista nuove consapevolezze, nuove libertà. Quando si parla di diritti dietro c’è tutta questa fatica, c’è la messa in discussione di ciò che è stato ereditato, c’è un percorso individuale che negli anni Sessanta e Settanta ha incrociato le scelte di molte. Le soggettività che irrompono sulla scena con il femminismo sono l’intreccio di tutte queste appartenenze, di tutte queste contraddizioni.
Il premio a Ernaux ci riporta a questa complessità: i suoi romanzi dispiegano l’intreccio tra classe e genere, ci svelano come solo scavando dentro se stesse si possano costruire nuove identità. La letteratura ha questa forza, questa opportunità: non creare certezze ma seminare quesiti, indicare percorsi. Con Ernaux quello della libertà femminile. Le sue parole subito dopo la notizia del premio lo ribadiscono: “Lotterò fino al mio ultimo respiro affinché le donne possano scegliere se essere madri o meno: la contraccezione e il diritto all’aborto sono un diritto fondamentale, la matrice della libertà delle donne”. Parole, che scrive l’Ansa, si riferiscono alla vittoria di Giorgia Meloni in Italia. Grazie, Ernaux!
