Attacco hacker all’Ospedale San Giovanni, ambulanze deviate e sanitari in affanno

A distanza di tre giorni, il sistema informatico dell’Ospedale San Giovanni Addolorata ancora non mostra segni di vita dopo l’attacco hacker di tipo “ransomware” lanciato nella notte tra il 12 e il 13 settembre. La procura di Roma ha aperto un fascicolo in relazione all’attacco hacker. Nell’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Angelantonio Racanelli, si procede per le ipotesi di reato di accesso abusivo al sistema informatico e tentata estorsione. Le indagini sono state delegate alla Polizia Postale che nelle scorse ore ha inviato ai magistrati una prima informativa sull’attacco che ha mandato in down il sistema.

Gli inquirenti stanno lavorando su un messaggio apparso lunedì mattina con cui viene richiesto in riscatto in bitcoin per avere indietro tutti i file crittografati. Ma l’azienda ospedaliera, come già accaduto per la Regione Lazio nell’attacco hacker di fine luglio, non ha alcuna intenzione di trattare con i pirati informatici. Mentre la procura è al lavoro per individuare i responsabili dell’attacco, nel polo ospedaliero, medici e operatori sanitari sono alle prese con un sistema che ricorda gli anni ’70.

Penne e fogli volanti

Con il server informatico disabilitato, nei corridoi al neon che separano un reparto dall’altro dell’ospedale, i medici e gli infermieri si passano a voce informazioni sul paziente: un appunto su un foglio volante e una telefonata sullo smartphone personale del medico e infermiere di turno. Uno squillo, forse due, per comunicare un’emergenza. Fino a qualche giorno fa, i medici e gli infermieri comunicavano attraverso il sistema interno. Adesso non si può: la linea telefonica è momentaneamente bloccata per l’attacco ransomware. Ovviamente anche il fax è fuori uso. Inaccessibili i Drg (Diagnosis related group), la classificazione, secondo i codici regionali, delle prestazioni effettuate dall’azienda ospedaliera ai fini dei rimborsi da parte del sistema sanitario. Irraggiungibili i telefoni dei reparti. Il polo ospedaliero ha messo a disposizione un centralino di emergenza per la prenotazione di visite urgenti. Ma, in attesa del ripristino del sistema informatico, molti pazienti, tra cui quelli oncologici, hanno difficoltà a prenotare una visita di controllo.

Secondo quanto apprende il Riformista da fonti interne, la situazione è critica per i casi che arrivano in Pronto Soccorso. Prima di accedere in Pronto Soccorso e verificare la positività o meno al Covid-19, il paziente effettua un tampone antigenico rapido: tutto si svolge senza intoppi, dal momento che la macchina per l’analisi del test è svincolata dai sistemi informatici. Ma la situazione si complica se un paziente deve sottoporsi a tampone molecolare di conferma: in questo caso, è necessario attendere ulteriormente rispetto alle quattro/sei ore previste per avere il risultato dell’analisi.

Poi si passa alla registrazione dell’accesso del paziente che avviene manualmente, su un modulo cartaceo: nome, cognome, data di nascita e orario di ingresso del paziente in reparto. I medici, così come gli infermieri, solitamente fanno affidamento al Gipse, il Sistema informativo dell’emergenza sanitaria della regione Lazio, che contiene tutte le informazioni sanitarie (e quindi dati sensibili) dei pazienti. Adesso, però, tutto viene registrato a penna su un foglio che, si spera, non vada perduto.

La situazione più complicata riguarda le richieste e le risposte delle analisi del sangue. C’è l’auspicio che il portantino, che prende in carico le provette delle analisi – le cui etichette sono rigorosamente scritte a mano – non sbagli consegnando al reparto sbagliato la analisi del paziente. Infine, c’è la Radiologia, dove per richiedere e leggere una lastra il medico deve recarsi personalmente in reparto, poiché i referti non possono essere condivisi e visualizzati direttamente da pc.

Codice rosso

Il sistema informatico disabilitato comporta non solo disagi, ma anche timori in caso di arrivo in Pronto Soccorso di un paziente in codice rosso: i ritardi materiali potrebbero quindi essere fatali. Per questo, il reparto di Medicina di Urgenza ha comunicato alla centrale del 118 che opera sul territorio di non portare i pazienti al San Giovanni, ma di dirottarli verso altri Dipartimento d’emergenza e accettazione di 2° livello, come il Policlinico Umberto I o l’Ospedale San Camillo.

Gli operatori sanitari, consapevoli delle difficoltà, spiegano ai pazienti che arrivano autonomamente con codici d’urgenza minore al polo ospedaliero la critica condizione in cui sono costretti a lavorare. Nessuno viene mandato indietro, ma i medici sottolineano ai pazienti arrivati in codice azzurro (urgenza deferibile con accesso entro 60 minuti) che i tempi di attesa per le varie prestazioni sono più lunghi.

Questione di giorni?

A distanza di 76 ore, la situazione è ancora in stallo. Potrebbe essere risolta tra qualche giorno o addirittura nell’arco di qualche settimana. Mentre proseguono le indagini, medici e infermieri dell’Ospedale San Giovanni fanno del loro meglio per sopperire ai disservizi informatici.