Bèbel e la sua vita tutta in un soffio

Bébel, sembra una sorta di contrazione del nome intero, Jean Paul Belmondo, in realtà viene da Pepel, Gabin e i bassifondi di Renoir . Un’abbreviazione, come un segno del destino: di una vita che si annuncia breve. Intensa, avventurosa, di dilapidante energia. Tutto in un soffio, in un attimo. Una corsa all’ultimo respiro. E invece no. Lascia il mondo con una cifra rispettabile di anni, sulla soglia dei novanta.

“E chi ci avrebbe scommesso?”, avrebbe detto il Noodle di Leone. Sì, uno che da giovane ha indossato la divisa francese in Algeria, e poi lasciato le insegne militari per l’accademia di recitazione, in un gioco continuo di contrasti: icona della nouvelle vague, che è appunto rapidità, carrellate di piano sequenza – il tutto e subito che il tempo fugge -. Un ossimoro col sorriso guascone, un bullo con un cuore battente bontà. Un brutto bellissimo, il più bello dei brutti. Un cattivo che non lo è, – e pure le casalinghe a tifare per il bandito -. La sua morte l’ha annunciata l’avvocato: un comunicato scarno che parla di affaticamento recente, di fine serena. Sempre quello che meno ti aspetti da uno che saliva sul ring per davvero, ma che poi ci scendeva dal quadrato del dolore, perché i pugni facevano male e si immolava al calcio, col ruolo più gentile di portiere.

Muore mentre a Venezia si va sul tappeto rosso, una Venezia che con lui è stata caritatevole, nel senso del Leone alla carriera, in ritardo, molto in ritardo per uno che è diventato attore in modo rocambolesco, perché in un tempo lontanissimo, a Saint-Germain-des-Prés, un tipo strano, con in mano una telecamera, lo invitò a casa sua, proponendogli di girare un film, cinquemila franchi al giorno. Bèbel ci pensò su, l’istinto gli diceva di prenderlo a pugni. Sua moglie gli disse di provarci prima di colpirlo. Un’altra contraddizione per uno lesto di mano. Jean Paul non lo picchiò e, dopo, il tipo strano, Godard, lo fece diventare l’icona della nouvelle vague, il protagonista di A Bout De Souffle.

L’inizio di una carriera all’ultimo respiro, che quando la vague passò, lo consegnò ai polizieschi, e lo mise al fianco, del suo mito, Jean Gabin, il padre del suo soprannome: la profezia di un attore con la pistola in mano, con quasi nessuno a tenergli testa, se non il bello, e dannato, per davvero, Delon. Non è morto nel modo avventuroso e tragico che la sua vita da cinema prometteva. Tutto è avvenuto secondo le regole dell’ossimoro. Una morte serena, annunciata da un avvocato, in un dispaccio che somiglia a una velina della questura.