Si chiama burnout, è lo stress da sovraccarico di lavoro e di tensione emotiva che colpisce che fa dell’aiuto agli altri una professione. I medici, gli infermieri, i volontari, gli operatori umanitari, lo conoscono bene. Oggi ha a che fare con un altro fenomeno: “pandemic fatigue”, lo stress collegato al clima di restrizioni nella vita sociale. Tra gli “operatori” c’è una categoria nuova che lo sta scoprendo: i preti.
L’allarme, in Italia, arriva dalla diocesi di Vicenza per merito del settimanale cattolico “La Voce dei Berici”. In queste settimane sono stati segnalati due fenomeni. Il primo: l’aumento dei contagi e delle vittime tra i sacerdoti, i più esposti al contatto con i fedeli. Giampaolo Padovan, Presidente dell’Associazione Collaboratori Familiari del Clero (Acfc) di Vicenza nonché Coordinatore Regionale del Triveneto lo diche chiaramente: “anche i preti sono una categoria a rischio e andrebbero messi in lista subito dopo medici, infermieri, operatori sanitari e RSA – sostiene Padovan -. Tra funerali, celebrazioni, visite ai malati, incontri personali in canonica, la loro attività è ad alto rischio”.
Il secondo fenomeno è anche più profondo: dalla diocesi di Vicenza è arrivato sul sito di informazione cattolica Settimananews: crisi dei preti, e a partire da alcune situazioni locali. A Vicenza, ma a quanto pare anche in altre realtà d’Italia, alcuni sacerdoti hanno chiesto un periodo di sospensione dalle attività pastorali, per riflettere. “È cominciato tutto con il lockdown – racconta don Daniele Pressi, 30 anni -. Davanti ai momenti di crisi reagisci con gli automatismi, e questi ti dicono chi sei. Ho vissuto chiuso in casa, ma nella mia vita non è cambiato niente quando per tutti gli altri è cambiato tutto. È vero, non c’erano riunioni, non c’erano incontri, ma tra preti abbiamo continuato a dire messa. Mi sono chiesto che vita stessi vivendo, avevo la sensazione di qualcosa di artefatto. Sono stato messo di fronte all’evidenza che siamo molto “clericali” come preti e come comunità. Nella mia testa sapevo benissimo, quando sono stato ordinato, che noi preti non siamo più cristiani degli altri, ma mi sono reso conto di non saperlo con la vita”. Da qui è scaturita una riflessione che è proseguita nei mesi estivi per poi sfociare nella decisione di prendersi una pausa.
Per chi si prende una pausa di riflessione, ci sono altri sacerdoti che devono lavorare di più per colmare i vuoti nei ranghi. Già in diverse diocesi la scarsità del clero porta a unificare più parrocchie sotto un solo parroco. Scrive don Luigi Maistrello: “intanto si procede come si è sempre proceduto, con la consapevolezza che tra dieci anni i preti dovranno gestire un numero doppio di parrocchie rispetto al presente, perché le cose non saranno certamente migliorate”. E aggiunge: “il prete del futuro sarà costretto a ritagliarsi un nuovo ruolo, proprio per uscire dall’angoscia in cui sta precipitando in questi decenni, costretto com’è oggi ad essere trottola che gira intorno a se stessa senza una precisa meta. Oggi è costretto a correre tra sempre più comunità con un unico fine: tenere vivo l’impianto sacrale che per secoli ha retto la cristianità. Ma, se non ci sono le comunità, come sarà possibile sostenere il sacro? Il presbitero ha bisogno di relazioni e queste devono essere alte. Ha quindi diritto ad una famiglia. Non lo dico nel senso classico. Per famiglia intendo quella costituita da un gruppo di persone con cui creare condivisione, sentirsi a casa e poter fare progetti a lungo termine”.
Sotto sotto, tra stress pastorale, scarsità del clero, accorpamenti di parrocchie, esigenze di “ricaricare le batterie!, spunta una parola proibita: burnout, termine che gli psicologi conoscono bene ma il clero italiano ancora troppo poco, figurarsi i vescovi! Padre Giuseppe Crea, psicoterapeuta e missionario, ha studiato per primo, in Italia, le problematiche del burnout tra i missionari e poi tra sacerdoti e operatori pastorali. Ricerche sintetizzate in diversi libri, che restano a prendere polvere sugli scaffali invece di essere utilizzati per “prevenire”. I missionari, ci dice padre Crea, ma non solo loro, direi anche i sacerdoti, i catechisti, gli operatori pastorali, tutti i professionisti nella relazione di aiuto, e i sacerdoti lo sono, troppo spesso si trovano a lavorare in situazioni difficili, con tensioni di ogni genere e in condizioni a volte al limite della sopportazione fisica”. La sindrome del burnout “è una particolare forma di adattamento a queste situazioni stressanti. Però fronteggiare lo stress non significa evitarlo ma imparare a gestirlo. Il consiglio: “ricercare strategie di coinvolgimento equilibrato con la gente e di attenzione alla propria salute psicofisica”. Più semplice a dirsi che a farsi, specie se non c’è dialogo tra preti e tra loro con il vescovo. Insomma un problema complesso e dai molti aspetti. Quindi meglio far finta di niente.
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