Stanno parlando tutti del nuovo spot della U-Power che vede come protagonista la conduttrice sportiva Diletta Leotta che balla con una minigonna inguinale su un palco (in realtà poi non è lei) generando la prima “estasi” di un bambino (che poi, questo il clame dello spot, gli uomini ritroveranno da adulti nelle scarpe del noto marchio).
A me ha ricordato il bellissimo film che spopolò negli anni ’90, ma sempre attualissimo, “What woman want – Quello che le donne vogliono” dove uno strepitoso Mel Gibson, nei panni di un pubblicitario che creava spot usando solo corpi ammiccanti femminili, proprio non riusciva ad uscire da quel clichè finendo poi per essere rimpiazzato da una giovane direttrice creativa.
Nel film Nik Marshall (Mel Gibson) doveva immaginare una promozione partendo dai tipici oggetti femminili e, pur sforzandosi, proprio non ce la faceva a intravvedere altro se non messaggi sessuali, dalle calze, al rimmel, al rossetto (“immagino una donna nuda ai tropici…”).
Probabilmente la U-Power si è affidata ad un nuovo Nik Marshall che pure per un paio di scarpe infortunistiche ha richiamato il messaggio dell’attrazione sessuale chiamando, e non è la prima volta, la giovane e spigliata conduttrice Diletta Leotta che dell’attrazione, non credo di svelare segreti, ha fatto il suo tratto distintivo sia per immagini che per contenuti (non era lei che di tutti i commenti smart-porno nei sui social non ne ha mai preso le distanze?).
Che c’è di male in tutto questo?
Anche se ci si aspetta che chi come me, attivamente impegnata nella promozione della parità, gridi al sessismo e all’oggettivazione del corpo delle donne, io non ci vedo nulla di male.
Ritengo paradossalmente normale ci siano ancora questi prodotti (che evidentemente nascono ben consapevoli di voler far parlare) che qualcuno li ha definiti come dei rigurgiti degli anni ’80 e ’90, se non addirittura necessario nella misura che si distinguono (e sarà poi l’utente a giudicare se in meius o in pejus) da altri spot più contemporanei che usano altri segmenti comunicativi.
Come nel citato film, la qualità e la contemporaneità della nuova direttrice creativa sorpassò il “vecchio” Nik Marshall dove la richiesta innovativa non veniva dall’alto, da una sorta di codice di condotta morale, ma dal basso, dal fatto che gli acquirenti non preferivano più i beni venduti attraverso l’uso di corpi di donne e dove anche quegli ammiccamenti sessuali parevano aver assuefatto i consumatori. Sicuramente le consumatrici.
Ora. Le scarpe antifortunistiche della U-Power saranno sicuramente d’uso prevalentemente maschile ma negli uffici vendite ci saranno anche tante impiegate donne: è anche a loro che lo spot si rivolgeva?
Se sì, pure il nuovo Nik Marshall risulta decisamente sorpassato dai tempi, se no, se è stato solo un posizionamento del marchio, allora la U-Power ha raggiunto i suoi brevi ma intensi cinque minuti di notorietà. Peccato che così. Possiamo infatti ragionevolmente ipotizzare che con la stessa spesa poteva pretendere molto di meglio e più duraturo.
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