La Manovra di bilancio 2023, su cui sono piombati oltre tremila emendamenti in Parlamento, è portatrice di diverse misure. Ormai è risaputo. Indubbiamente c’è sul piatto tanta buona volontà da parte di Palazzo Chigi nell’affrontare le urgenze del caso. Un conto però è il Governo, altro conto è l’impianto strutturale licenziato dalla parte tecnica dell’esecutivo (che, d’effetto, si riflette in termini di linea politica). Si tratta non del Mef (Ministero dell’Economia e Finanze) in quanto tale, ma dell’intendimento del Ministro dell’Economia.
Proprio su Il Riformista, il 2 dicembre scorso, si è analizzato come il d.d.l. all’esame del Parlamento soffra, in radice, di una sorta di retaggio normativo in ordine alla parte fiscale; retaggio riconducibile all’epoca del duo Lega-M5S (all’epoca dell’inedito Contratto di Governo). Questione, quest’ultima, a cui Omnibus, trasmissione di La7, ha dedicato attenzione la domenica successiva.
La cosa che si è cercato di evidenziare da subito è che lo stralcio fiscale di cui si parla nella Manovra 2023 (art. 46) genererebbe disparità di trattamento tra contribuenti morosi (e figuriamoci tra morosi ed evasori). Il motivo sta nel discrimine operato da chi ha scritto il disegno di legge in questione che si basa sullo stesso filo conduttore della normativa fatta nel 2018 (art. 4 D.L. 119) dal Governo Conte 1.
A titolo di esempio e di richiamo del problema: il Sig. Rossi se ha un debito fiscale sotto la soglia dei mille euro, maturato nel 2013 e non affidato all’Agenzia delle entrate Riscossione, non potrà vedersi stralciata la sua posizione debitoria; cosa di cui, invece, potrà benissimo giovarsi il suo amico Sig. Verdi se, per lo stesso anno d’imposta e per la stessa soglia massima, l’Agente della Riscossione ha ricevuto l’affidamento in carico entro il 2015 da parte dell’Ente impositore. Un assurdo singolare, quindi, che nasce (politico-giuridicamente parlando) nella legislatura precedente.
Il dato attuale sulla questione ci porta su due profili d’interesse valutativo:
- nei giorni scorsi, alla Camera dei Deputati, è stato presentato un emendamento orientato specificamente a superare il problema di disparità che la disposizione nel d.d.l. di bilancio 2023 genererà (così come ha generato il D.L. 119/2018);
- è la Commissione bilancio della Camera ad aver implicitamente certificato che lo stralcio fiscale, per come scritto, si presta ad evidente disparità di trattamento.
Nella seduta del 10 dicembre scorso, infatti, l’emendamento n. 41.1. (ad onor di cronaca depositato dal parlamentare Rosato come riporta il verbale di seduta della Camera) è stato dichiarato “Inammissibile per carenza di compensazione” la Commissione permanente V. Il ché sta a significare almeno due cose:
- che il Parlamento sa della questione, ma non può accettarne il merito per carenza di previsione finanziaria a copertura (forse in ragione dei vincoli di bilancio e dei relativi equilibri dettati dalla Manovra stessa, quindi, preservando una decisione politica a monte);
- che la scelta del Ministro dell’economia di riproporre la stessa disposizione del 2018 implica che lo stesso Mef (evidentemente) sia ben a conoscenza della disparità di trattamento tra contribuenti morosi.
A monte c’è una chiara scelta politica che si serve del tecnicismo contabile? In questo caso, come nel 2018, si tratta comunque di qualcosa al bivio costituzionale su cui il Ministro dell’economia dovrà, prima o poi, esporsi di più e dare le opportune giustificazioni per non aver previsto, all’origine, la copertura di bilancio e per aver semplicemente riprodotto una norma disarmonica sul piano dell’eguale trattamento dei cittadini.
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