Continua l’intervista all’ex Presidente di Sezione e Giudice emerito del Tribunale dell’Unione Europea, Guido Berardis. Su magistratopoli e la confessione-intervista di Luca Palamara, l’ex potente Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, e membro togato del CSM, ad Alessandro Sallusti. La prima parte è stata pubblicata ieri sul Riformista (Guido Berardis: “sconcertato dal sistema e dalla presunzione di colpevolezza alla Piercamillo Davigo”).
Berardis, già Direttore alla Direzione Generale del Mercato Interno presso la Commissione Europea, ma anche membro del gabinetto dell’allora commissario europeo alla Concorrenza Mario Monti, è stato sino al 2019 Presidente di Sezione del Tribunale dell’Unione Europea. Uno dei maggiori esperti italiani di diritto dell’Unione Europea, oggi in pensione, nel suo percorso professionale conta anche un’esperienza quale ufficiale di complemento della Guardia di Finanza, ed oggi è Consigliere della Sezione di Bruxelles-Unione Europea dell’ANFI (l’Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia).
Qual è il problema principale della giustizia italiana?
Soprattutto la commistione di magistratura e politica. Quest’ultima vedendo spesso di buon occhio la prima come arma di lotta politica contro i propri avversari. Da cui discende la deprecabile abitudine di far nominare nei posti strategici magistrati di un certo colore politico o corrente.
Il solo controllo sui magistrati è esercitato dal CSM e, in parte, dall’ANM, di cui è nota la definizione data dal presidente della Repubblica Cossiga (ndr “associazione sovversiva di tipo mafioso”). Ma si tratta di un controllo interno ed aleatorio, che viene azionato secondo criteri misteriosi. Quando e come lo vogliono le correnti, che non sembrano un esempio di obbiettività. I metodi di nomina al CSM del resto non aiutano granché. Controlli, dunque, scarsi ed inefficaci. A meno che si voglia considerare efficace la ricerca di un capro espiatorio, che consenta di spazzar sotto il tappeto ogni altro aspetto di una determinata vicenda.
Quale soluzione, quindi?
Una rapida e radicale riforma della giustizia, che includa anche il problema gravissimo della durata insostenibile dei processi, è di vitale importanza per la democrazia.
Perché è sulla scena della Giustizia che uno Stato mette in gioco la propria credibilità, non solo agli occhi dei propri cittadini, ma anche a quelli dei cittadini degli altri Stati, che vogliano investire e lavorare in quello Stato. Una giustizia imparziale, efficace, rapida e non arbitraria, è un’esigenza che compare continuamente nelle prese di posizione dell’Unione europea. E non senza ragione. Nel nostro paese, la giustizia è troppo spesso vista come un Leviatano che tutto opprime.
Ha delle idee concrete in proposito?
Innanzitutto, occorrerebbe affidare la riforma della giustizia ad una sorta di Assemblea costituente, che abbia nel suo seno i più grandi esperti di diritto, anche stranieri, di comprovate capacità e di riconosciuta onestà intellettuale. Chi debba scegliere tali personalità, e come, è un altro paio di maniche. Il mondo politico e il mondo giudiziario dovrebbero essere consultati, soprattutto per un inventario completo dei problemi.
In secondo luogo, occorrerebbe fissare obbiettivi chiari e coraggiosi, a cominciare dalla creazione di una governance della magistratura, degna di questo nome, che non sia puramente interna. Si potrebbe riflettere a come implicare il potere legislativo, la stessa Corte Costituzionale, e altri.
E come dovrebbe risolversi il problema delle correnti e dell’ANM?
Penso che bisognerebbe abolire il ruolo delle correnti, che si sono rivelate il canale del malcostume.
Ma anche giungere alla revisione, se non addirittura all’abolizione, dell’ANM. Perché non si vede quale sia il valore aggiunto, per una buona amministrazione della giustizia, di un sindacato dei magistrati che opera come fosse un organismo istituzionale, e persino costituzionale.
E sull’annoso dibattito sulla separazione delle carriere di giudici e PM?
Personalmente auspico la separazione delle carriere. Perché carriere separate renderebbero senza oggetto le ben note complicità tra magistratura inquirente e magistratura giudicante, a tutto vantaggio dell’imparzialità di giudizio.
Mi sentirei poi di prevedere il divieto per i magistrati di mettersi in aspettativa per condurre attività politica, sia essa come ministro, sottosegretario, consigliere o altro. Chi vuol farlo, lasci per sempre la magistratura.
Infine stabilirei un sistema serio di responsabilità professionale dei giudici, riguardante sentenze e ritardi, che venga definita da organi adatti ed in base ad appropriati criteri.
E per quanto riguarda i tempi della giustizia italiana?
È noto che “giustizia ritardata è giustizia negata”: i tempi biblici dei procedimenti sono una piaga intollerabile nel sistema giudiziario italiano. Identificarne tutte le cause non è semplice, ma è un lavoro imprescindibile se si vuole una riforma che abbia senso compiuto. La riforma dei codici di procedura dovrebbe essere intrapresa con urgenza e sistematicità, non a colpi di decreti raffazzonati su questo o quel punto specifico.
Il tema controverso della prescrizione sembra sarà rivisto dal nuovo governo.
E la considero una misura sacrosanta. Che l’intervento sulla prescrizione, dettato più da esigenze di visibilità politica che derivante da una seria riflessione, è stato quanto di più inappropriato si potesse immaginare. La gerarchia interna di ogni unità giurisdizionale dovrebbe vegliare sul lavoro dei giudici, per garantire che episodi di negligenza o di pigrizia non si verifichino.
Piuttosto che parlare di abolizione della prescrizione, che è per ogni giurista un’aberrazione giuridica, bisognerebbe concentrarsi sul miglioramento sensibile e concreto delle infrastrutture messe a disposizione dei giudici. Le inaccettabili carenze di queste sono spesso concausa, con responsabilità individuali, di ritardi altrettanto inaccettabili.
(2.continua) PRIMA PARTE
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