Se dovessi fissare nella mente una parola che meglio sintetizzi l’angoscia di questi giorni di guerra in medio oriente, non ho dubbi nel pensare al “ricatto”, uno dei più vili assassini, d’una scellerataggine più profonda dell’omicidio scriveva Honoré de Balzac. Il ricatto poi è l’esatto opposto della diplomazia, per quel “tertium non datur ” che alla fine nega anche la minima speranza di dialogo creando un’insormontabile muraglia tra le parti coinvolte.
Nel terrore di questa settimana bellica in medio oriente il ricattatore è Hamas: l’organizzazione terroristica (tale per tutte le nazioni unite) si trova nella non-condizione di poter porre sul tavolo argomenti tali da poter sedare la rabbia di Israele, checché ne dicano i tanti attivisti pro palestine che riempiono le piazze manifestando a favore degli “oppressi” palestinesi, dimenticando però (colpevolmente o per ignoranza) quanto i diritti civili e sociali siano paradossalmente calpestati proprio nei territori di Gaza. E mi chiedo se non è questo un cortocircuito e un controsenso logico.
Il ricatto di Hamas sta nell’aver deliberatamente costretto Israele verso un crinale di escalation e di reazione altrettanto violenta. Sì perchè esiste una gerarchia anche nell’orrore e non tutti i crimini sono uguali, come ha recentemente scritto lo scrittore David Grossman, intellettuale per niente timido e ossequioso della destra di Netanyahu.
…Ci sono livelli di gravità del male che il buon senso e l’umanità sanno riconoscere. E quando vedi il campo dove è avvenuto il massacro al rave party, quando vedi i terroristi di Hamas precipitarsi in moto sui ragazzi, alcuni dei quali stanno ancora ballando senza rendersi conto di cosa succeda; quando li vedi accerchiati, inseguiti come prede e poi uccisi tra grida di giubilo. Non so se chiamarli “belve”, ma di certo non hanno sembianze umane.
Il ricatto di Hamas si è materializzato nel salto di qualità negativa per cui la lotta armata politica si è trasformata in un vero e proprio atto di terrorismo disumanizzante: il massacro dei giovani, le decapitazioni nei Kibbutz di donne e bambini, le uccisioni indiscriminate di cittadini inermi colpevoli di essere “ebrei” e soprattutto il rapimento di ostaggi (parliamo di decine di persone innocenti provenienti anche da altre nazioni) sono tutti elementi che per nulla rientrano nella ragione politica “palestinese” mentre al contrario dimostrano al grado mille la matrice nazi-fondamentalista di Hamas e la sua inaccettabile volontà genocida antisemita.
Questo è un punto di non ritorno che configura Hamas come nemico globale e non solo di Israele ma di certo nemico dell’intera regione con la differenza – non marginale – che i palestinesi votano per Hamas e persino la Cisgiordania vorrebbe dargli le chiavi del governo anche lì. E sarebbe un disastro per tutto il Medio Oriente. A chi interessa Hamas sempre più forte?
Una risposta ce la danno i leader iraniani e sauditi che preferiscono interloquire con il capo dei terroristi Ismail Haniyeh piuttosto che trovare un canale diretto o magari indiretto (per interposti attori come Usa, Cina, Russia o Egitto) con il capo del governo israeliano Netanyahu, un leader inadeguato dalla fine politica segnata dopo questa crisi ma ad oggi al potere per la difesa del suo popolo.
Cosa fare? Di certo la diplomazia internazionale, come giusto che sia, deve lavorare a tutto campo per arrivare passo dopo passo ad un’abbassamento dei toni che scongiuri l’allargamento dei fronti, preveda corridoi umanitari e il rilascio degli ostaggi. Ma il primo a mettersi di traverso è Hamas. Direi di più: il primo nemico di Gaza è proprio Hamas, la pietra d’inciampo di questa guerra.
La comunità internazionale deve pressare Hamas al rilascio dei prigionieri senza dettare condizioni e permettere ai civili di accedere agli aiuti. Ma se il ricatto rimane in essere non si può quindi insinuare – pur passando per una porta strettissima – quel filo debole che porti anzitutto ad un cessate il fuoco capace di attenuare la rabbia legittima di Israele che, ricordiamo, si è vista vittima di rastrellamenti nazisti dentro i suoi stessi confini. Per Israele vivere atti persecutori simili alla shoà dentro casa è qualcosa di indicibile e, credo, indifendibile.
In questa questa storia Hamas è il problema e non la soluzione per la questione palestinese: prima lo si de-nazifica meglio è per il mondo.
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