Una rivoluzione. Definizione netta e senza tanti complimenti. La “Costituzione Apostolica” – documento papale al massimo livello – pubblicata sabato 19 e presentata lunedì 21, dopo nove anni di lavoro ridisegna la struttura della Curia Romana. Nuovi dicasteri, accorpamenti, scorpori, cambiamenti. Insomma tutto quello che serve per lavorare bene con il Papa e per il Papa. L’idealismo domina: la Curia è a servizio della Chiesa universale, non si interpone tra Papa e Chiese locali, tutt’altro. Le Conferenze episcopali trovano adesso una loro collocazione e via dicendo. Sarà poi la realizzazione pratica a dire se la riforma dalla carta si trasferisce alla realtà.
Ma la rivoluzione vera è un’altra. Lo hanno ribadito in lungo e largo in conferenza stampa di presentazione lunedì 22 gli illustri prelati intervenuti, soprattutto il gesuita padre Gianfranco Ghirlanda, rilevando, rimarcando, sottolineando la più profonda delle innovazioni, quella dell’art. 15. «I Membri delle Istituzioni curiali sono nominati tra i Cardinali dimoranti sia nell’Urbe che fuori di essa, ai quali si aggiungono, in quanto particolarmente esperti nelle cose di cui si tratta, alcuni Vescovi, soprattutto diocesani/eparchiali, nonché, secondo la natura del Dicastero, alcuni presbiteri e diaconi, alcuni membri degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica ed alcuni fedeli laici».
Non è poco. Equivale ad una rivoluzione copernicana, perché prima, nel documento di Giovanni Paolo II che questo testo ora supera e riscrive, si specificava che la “potestà di governo” era riservata a chi aveva “gli ordini sacri” cioè sacerdoti (al massimo suore…) e niente laici. Come specificato da p. Ghirlanda, adesso tutto cambia: “anche i laici possono svolgere tali affari, esercitando la potestà ordinaria vicaria di governo ricevuta dal Romano Pontefice con il conferimento dell’ufficio. Ciò conferma che la potestà di governo nella Chiesa non viene dal sacramento dell’Ordine, ma dalla missione canonica” che il Papa stesso conferisce e lo può fare in quanto Successore di Pietro. La norma recepisce il Concilio Vaticano II e – come ha spiegato brevemente lo stesso p. Ghirlanda – si mette la parola fine ad un complicato dibattito teologico-canonistico partito dal Concilio e arrivato fino a Giovanni Paolo II (quindi ad oggi). Riassunto: si tratta di vedere se “la potestà di governo è conferita ai vescovi con la missione canonica e al Romano Pontefice per missione divina oppure dal sacramento dell’Ordine. Se la potestà di governo è conferita attraverso la missione canonica, essa in casi specifici può essere conferita anche ai laici; se è conferita col sacramento dell’Ordine, i laici non possono ricevere alcun ufficio nella Chiesa che comporti l’esercizio della potestà di governo”.
Quindi sulla carta è una rivoluzione: il Papa può conferire un mandato di governo ai laici perché si tratta di “missione canonica” su incarico e non perché si appartiene al clero. In termini italiani sarebbe un duro colpo contro la “casta” (del clero, in questo caso).
Però… e qui ci sono i però. Basta scriverlo per realizzarlo? Si cambia una mentalità radicata (quella del clero che comanda) solo con una norma? E il resto delle “regole” scritte e non scritte in Vaticano e nella Chiesa in generale? Sì perché le regole prevedono che il sacerdote di turno per il fatto che appartiene al clero, sopravanza di grado e di responsabilità il laico, anche se quest’ultimo ha dei “gradi” maggiori del sacerdote. Un po’ come se un colonnello comandasse al generale. Quindi sulla carta è una rivoluzione. Nella realtà probabilmente non funziona. Maggiori dettagli sulle Regole – facili facili, semplici semplici – che si possono applicare, sono ben spiegati in un (mio) ebook che affronta esattamente tali questioni. Perché, come al solito, per cambiare davvero basterebbe molto poco. Per questo è molto difficile.
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