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Lettera aperta sull’Italia da salvare (dopo le parole di Mario Monti).

Giurista, saggista, editorialista
Lettera aperta sull’Italia da salvare (dopo le parole di Mario Monti).

È con grande serietà che pongo alcune riflessioni sulle parole dell’ex Presidente Mario Monti (che stimo, assolutamente, come intellettuale). Ho ascoltato l’intervista di ieri a La7 e il passaggio sulla questione della “pace fiscale” su cui, tendenzialmente ed ideologicamente, non si può dare torto. La pace fiscale, vista da chi ha la visione macro-sistemica, fa rabbrividire. Rappresenta il fallimento dello Stato davanti a chi non paga le imposte, le tasse, ecc.

Tale fallimento, però, non è attribuibile esclusivamente agli individui che operano. Gran parte della responsabilità è proprio della politica e, di riflesso, della società elettrice. Ma veniamo al punto. In linea di principio “pace fiscale” sta a definire due linee di rapporto con i contribuenti: una di morosità, l’altra di contenzioso. Questi due rapporti per qualcuno possono rappresentare non altro che, semplicisticamente, monte di evasione fiscale. Meno semplicisticamente, ma è ovvio che il Sen. Monti lo sappia, occorre differenziare tra chi non batte lo scontrino e chi lo batte ma non riesce a versare allo Stato quanto dichiarato.

Il più delle volte quest’ultime figure sono operatori economici di dimensioni locali, di prossimità o, se vogliamo dirla in gergo più popolare, partite iva medio-piccole. Ebbene, il moroso non può essere definito evasore in senso stretto. Perché c’è un rapporto di lealismo diverso tra colui che non batte lo scontrino e colui che lo batte (tant’è che ci sono strumenti giuridici come l’adesione). Se poniamo la domanda ad un medio-piccolo imprenditore italiano, in difficoltà, sul perché “se dichiari, non paghi quanto dovresti” la risposta fa rabbrividire (anche in questo caso): troppe tasse, poco utile, troppo lunghi i tempi di riversamento erariale in una situazione di crisi economica, pandemia, ecc. (guerra energetica e valutaria a parte).

In buona sostanza, il contribuente che dichiara e non riesce a pagare vorrebbe farlo con tutto sé stesso, ma si trova a dover combattere un’altra guerra: quella di uno Stato che ha fatto così tanto debito pubblico, sprecando, mortificando e tartassando chi produce a fronte di piazzamenti nel mondo pubblico di percettori diretti ed indiretti di benefici e privilegi. Quanta gente è impiegata nel settore pubblico e che, oggettivamente, non ha alcunché da fare o non serve in una determinata funzione oppure ancora è stata solamente trascinata in un carrozzone senza manco pensare al danno che avrebbe fatto al suo panettiere di fiducia?

Tanto la risposta è: se lo Stato impiega male le risorse, allora, basta andare nell’urna per auto-assolversi dai peccati precedenti, alzare le imposte e le tasse, ecc. Se invece il medio-piccolo imprenditore, a fronte dell’essersi comportato correttamente dichiarando tutto, deve fronteggiare:

  • inflazione (quindi perdita del potere d’acquisto che incide, soprattutto, sugli stipendiati e di riflesso nel rapporto con il panettiere di cui sopra);
  • mancato introito nei giorni e nei mesi intercorrenti tra il momento dello scontrino e il momento del riversamento allo Stato, ecc., non riuscendo a pagare le imposte e le tasse effettive, di contro lo additiamo come evasore!

Senza pensare che se il panettiere utilizza quei soldi del “dovuto erariale” per tamponare gli effetti della crisi, magari continuando a pagare lo stipendio ai propri dipendenti nonostante il calo di produzione indotto dalla minore necessità di acquisto del mercato in una dimensione, ovviamente, microeconomica, lo fa per mantenere in vita un presidio produttivo che, per il rovescio della medaglia, è anche un presidio di legalità.

Si, perché la medio-piccola impresa funge anche in tale ottica sociale: è termometro nelle periferie, nei centri storici, ecc. Il piccolo imprenditore non sta certo alle Maldive tutti gli anni od investe in borsa o sui titoli di Stato di qualche Paese del mondo che ha costruito fortune su speculazioni varie. E nelle speculazioni varie ci metterei, appunto, i mantenuti dal sistema. Qui si apre un’altra questione molto delicata. Quella di chi produce, ma non ce la fa e quella di chi non produce e non ce la fa lo stesso. Ma occorre fare anche qui un distinguo.

Nel primo caso lo Stato dovrebbe essere dalla parte di chi fa nonostante lo faccia in condizioni di mercato (determinate in maniera prevalente dallo Stato stesso) tendenti al fallimento o alla chiusura scontata dell’attività. Nel secondo caso dovrebbe essere dalla parte di chi non può lavorare per motivi di salute, inabilità, ecc. e di chi sta letteralmente “in mezzo ad una strada”. Ora, se quel panettiere, nonostante faccia un ottimo pane e benché abbia sempre pagato negli anni precedenti regolarmente, chiude perché ha una decina di cartelle esattoriali derivate, soprattutto, dall’avvento della pandemia e dalla incidente crisi energetica, dove andranno a finire i lavoratori impiegati e la famiglia di quest’ultimo?

So già che la visione macroeconomica del Pres. Monti ci imporrà di considerare il c.d. “rimescolamento delle carte”: cioè il lavoratore se sa fare una mansione riuscirà, per il gioco dei numeri, a trovare altro lavoro in un’altra panetteria. Non si può dare torto anche su questo. Ma se in una Città chiude il primo panettiere e poi chiude l’altro perché ha lo stesso problema e chiude l’altro ancora, come la mettiamo? Ecco, io penso che la microeconomia sia una parte essenziale della macroeconomia. Penso che a quel panettiere leale e serio vada data la chance di riscatto, di recupero, senza farsi fagocitare da uno Stato vorace con i piccoli e debole con chi sappiamo.

Lo dico con molto dolore, ma so che con il Pres. Monti condividiamo la stessa voglia di progresso del Paese che anima, certamente, i nostri rispettivi impegni verso un unico obbiettivo: il bene. È altrettanto vero che occorre essere cinici per farlo. Anche qui come non si può dare torto. Ma dobbiamo fare attenzione, con molto rispetto, ad una cosa: non si può essere cinici con il panettiere che non andrà mai a farsi un anno sabbatico in quel posto rinomatissimo delle Maldive. Non voglio assolutamente che si pensi ad una sorta di moralismo con la pelle altrui.

Si deve essere cinici con altro tipo di persone. Soprattutto con quelle che hanno alzato le imposte e le tasse a tal punto da diventare sproporzionate ed insostenibili (contro Costituzione) rispetto alla massa di coloro che producono ricchezza per il Paese, invece di privilegiare beatamente coloro che nulla inventano se non la protesta per l’assenza di un impiego che la politica, ostaggio dell’idiozia di quest’epoca, promette di trovare ma condannando socialmente il panettiere di quartiere (a cui, invece, andrebbe data la medaglia per la resistenza in questi tempi difficili). “Pagare tutti, pagare meno”.

Lo ricordiamo questo slogan, ma a questo punto vale piuttosto il contrario: “Pagare meno, pagare tutti”. Mi permetto di sottolinearlo quest’ultimo passaggio perché se tutti pagassero (come fatto empirico non come comportamento sociale) stiamo certi che lo Stato non farebbe pagare meno poiché staremmo in un sistema talmente virtuoso da poterci permettere investimenti e, perché no, debito pubblico ulteriore (tanto riusciremmo a pagarlo è la sintesi). Invece è valido tutto l’opposto: pagare meno per pagare tutti perché se lo Stato inizia a fare pace davvero con la “schiavitù fiscale mascherata” stiamo certi che il panettiere altra gente la impiegherà.

Forse lo speculatore finanziario no. E questo fa rabbrividire molto. Figuriamoci quando ci sarà il razionamento dell’energia. Che facciamo? Diamo al Paese titoli di Stato da mangiare? Mettiamo nelle mani dei Tribunali faldoni e faldoni di fallimenti indotti di medio-piccole imprese? Diciamo al docente della scuola superiore o al pensionato che lo Stato non riesce più a garantire l’accredito pieno sul conto corrente perché il panettiere ha chiuso e, dall’oggi al domani, non può pagare più le tasse (perché non produce) e che, quindi, stampiamo di nuovo moneta (cosa che si può fare solo a livello europeo)?

Credo che la risposta del docente e del pensionato sarà la stessa: non vogliamo rabbrividire dinanzi alla scena per cui il panettiere si impicchi. Ecco, tutto questo per dire che l’evasione fiscale è un danno ed è un grosso problema del nostro Paese che dobbiamo combattere. Ma il moroso, il contribuente vessato, il cittadino che si vede una mole di burocrazia addosso ogni giorno e vive con l’angoscia (si fidi Pres. Monti, se posso permettermi) che non può fronteggiare con le proprie forze le illegittimità (che capitano, basti leggere i dati della Cassazione) di una pubblica amministrazione pesante, sono altra storia.

La pace fiscale andrebbe fatta. E con urgenza. Magari chiamandola in maniera più appropriata come “piano di salvezza fiscale”. A meno che non si voglia mettere anche i panettieri dietro il banco del McDonald’s di quartiere (è un esempio – provocazione) e dare una bella concessione nazionale per la produzione del pane a quest’ultima società. Sarebbe questa la più grande ingiustizia sociale dei nostri tempi. L’uccisione della concorrenza, della libertà di mercato e del pluralismo creativo per effetto stesso dell’iper-capitalismo che va verso l’autoprotezione.

Oggi più che mai operai e panettieri sono sulla stessa barca e nella stessa fascia sociale. Se mi si consente, Pres. Monti, prima di arrivare agli espropri di massa, abbiamo il dovere di rabbrividire per altre cose. Prima fra tutte quando si la Costituzione a seconda di quel che serve al burocrate di turno per giustificare leggi a cui la politica non partecipa più. Così soggiogando, di fatto, la politica stessa e cioè gli elettori più che mai inconsapevoli o, anche loro, mantenuti da un sistema che li vuole tali. Si chiama “Egemonia culturale”. Che poi di culturale nulla ha.

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