Se per caso fosse venuto in mente a qualcuno di mandare a casa l’esecutivo in carica, c’è da premettere un distinguo: un conto è il Governo Draghi, altro conto è il Governo di Draghi.
Ebbene il primo è quello che c’è oggi a Palazzo Chigi: da Dimaio a Giorgetti, da Orlando a Franceschini, da Carfagna a Brunetta e via discorrendo.
Il secondo, invece, è il c.d. Draghi Vademecum. Come si suol dire: “c’è ma non si vede”.
È una sorta di caratura imprescindibile che genera la presenza del Presidente del Consiglio (con più ascendente internazionale nella storia della Repubblica da Berlusconi in poi). Da Monti sino all’ultimo Governo Conte, oggettivamente, si potrebbe parlare al massimo di caratura europea per chi ha mantenuto scranno nella sede con affaccio su Piazza Colonna nella Capitale.
Ora, con tutta onestà, con questo Parlamento litigioso e con un totale di senatori e deputati che al prossimo giro elettorale scenderà a 600, si può intuire come nelle segreterie politiche ci stia preparando (trasversalmente) ad un unico obbiettivo: motivare le diversità e le differenze tra le forze in campo.
Cosa che non tange e non tangerà unicamente il Partito Democratico: assunte le vesti del governismo ad oltranza ormai anni (salvo il periodo del contratto di Governo tra Lega e Movimento 5 Stelle).
Questi due elementi di valutazione fanno scattare un allarme preciso e cioè come faranno tutte le altre forze politiche dell’arco parlamentare, esclusi per deduzione logica Partito Democratico e Fratelli d’Italia, a giustificarsi del mandato in esecutivo senza perdere consenso dinanzi allo stare decisis (dal latino: “rimanere su quanto deciso”) draghiano?
Potrebbe darsi che lo scalpitare di Giuseppe Conte per creare la crisi non sia altro che un tentativo, sotto mentite spoglie, di Letta e Co. nel creare la spaccatura della diversità proprio sul fronte del centrodestra ovvero palesando quanto sia netta la distinzione tra Berlusconiani e Meloniani senza considerare i Salviniani poiché su quest’ultimi neanche il Colle avrebbe più interesse a calamitare l’attenzione.
I motivi potrebbero essere due.
Se rimane la legge elettorale attuale, specie per quei seggi ad elezione maggioritaria, i partiti dovranno andare alla ricerca di persone ben legate con i territori e aventi dimestichezza e/o attitudine alle cose della politica.
Se non rimane in vigore il Rosatellum bis, passandosi così nuovamente al proporzionale, allora, a maggior ragione, chi ne potrà giovare saranno principalmente i due partiti a prevalente richiamo di fedeltà politica ovvero PD e Fratelli d’Italia; partiti intorno ai quali graviteranno, a seconda delle valutazioni del caso, i residui splenici del c.d. “taglio parlamentari”. Ma ciò con un ulteriore distinguo.
I residui grillini Contiani (sempre se entreranno in Parlamento) più qualche mini fronda di ultra-sinistra andrà sotto l’ala protettiva del Pd; mentre la Lega mai si sposterà dal cordone meloniano in termini di forza centripeta cosicché non resterà a Forza Italia che costruire con Italia Viva di Renzi e, forse, Azione di Calenda più altri ancora, un tentativo ri-costituente centrista in cui liberal-democratici e cattolici-popolari potranno esprimersi senza subire i colpi d’ascia della riforma voluta, alimentata e infuocata nel tempo proprio dal neo chirurgo politico Luigi Dimaio.
In tutto questo però,, si dimentica una cosa: Draghi è stato voluto per fare il PNRR; Draghi garantisce il Paese in queste condizioni; Draghi sa come si muove tutta la macchina europea (dallo stampare moneta al garantirla verso l’esterno e verso l’interno). Il resto non conta. Almeno per ora.
Sullo sfondo c’è una pazza idea. Un Governo tecnico potrebbe dare respiro vitale ad alcuni partiti.
Si, ma al posto di Draghi chi ci va? Sempre Draghi, con il suo Vademecum. Salvo che il prossimo Parlamento non sia “molto maggioritariamente” (si consenta lo sforzo termologico) bipolare invece di esser semplicemente polarizzato.
Il Governo Draghi, ad ogni modo, nell’idea della sua presenza scenica, rimane imprescindibile. A prescindere dai bisturi e dalle tecniche di intervento chirurgico-politico frutto di autodidattismo.
È stare decisis. La tachipirina per la febbre da democraticamente irrequieto.
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