Era il 1991 e io avevo 16 anni. Avevo da poco visto il bellissimo film di Marco Risi, Il muro di gomma, tutto incentrato sull’appassionante storia di un giornalista d’assalto del Corriere della Sera, Andrea Purgatori, alla ricerca della verità sul caso Ustica. Di quella pellicola Purgatori era stato anche co-soggettista e co-sceneggiatore e io, da figlio di sceneggiatore, sapevo quanto importante fosse quel fatto.
Volevo fare il giornalista sin da allora, e quando seppi (non so bene come) che Purgatori, da studente, aveva frequentato il mio stesso liceo scientifico, l’Avogadro di Roma, mi feci coraggio e gli chiesi un appuntamento per un’intervista. Volevo capire come era arrivato a essere il giornalista che già era. Sì, a meno di 40 anni d’età lui era già un monumento della stampa italiana. Nel mio liceo, anzi, nel “nostro” liceo, non c’era nemmeno un giornalino d’istituto, per cui quella mia richiesta d’incontro nasceva solo per soddisfare un mio bisogno, un entrare in contatto con qualcuno che aveva avuto successo in un campo di mio interesse. All’epoca la scuola non provvedeva a nessun tipo di orientamento in uscita, non c’erano alternanze scuola-lavoro e nessun incontro con personaggi di campi non scolastici. Questo, a ripensarci oggi, rendeva ancora più debole la possibilità di ottenere un incontro con lui.
E invece Purgatori fu gentilissimo: lavorava all’epoca al Corriere della Sera nella redazione romana di via Tomacelli 160 e mi propose di andarlo a trovare lì, in centro. Entrai in quel palazzo ben consapevole che mi sarebbe tanto piaciuto poterci rientrare un giorno, da grande, come redattore (anche se a dirla tutta all’epoca avevo il pallino di Repubblica, ed era il periodo del gran dualismo fra i due quotidiani, al punto che mi sentivo un po’ come un tifoso della Lazio che entrava nella sede della Roma).
Ho dei ricordi a lampo di quella breve visita (non credo più di 20 minuti, perché rammento che avevo letto di dover fare domande brevi e poi non volevo rubargli troppo tempo). Mi presentò a qualcuno del suo open space, mi illustrò il casino delle scrivanie sua e di un po’ tutti. Una cosa che ricordo è che su qualche scrivania c’erano ancora delle macchine per scrivere insieme ai grossi monitor dei computer dell’epoca.
Non ricordo tutto ciò che gli chiesi, ma nella casa di mio padre dovrebbe ancora esserci da qualche parte il nastro della sua intervista; sicuramente una domanda sul come era diventato giornalista e lui mi raccontò di questo master in giornalismo della Columbia University di New York, che io all’epoca conoscevo già perché avevo letto che Furio Colombo, altra immensa penna della stampa, ci aveva insegnato. L’idea di frequentare una scuola di giornalismo mi nacque probabilmente da quell’incontro. Certamente gli chiesi di come gli era nato l’istinto per scrivere di Ustica, agli inizi del fatto. Purtroppo non ricordo bene cosa mi rispose.
Il mio ricordo di Purgatori è dunque quello di un uomo mite e gentile. Disposto a farsi intervistare da un pischello romano in calzoncini corti solo con la scusante di provenire dallo stesso liceo. Ricordo che in quel breve incontro pomeridiano Purgatori era chiaramente contento di fare il giornalista. Altri suoi colleghi in quella redazione mi erano parsi molto più annoiati, e le tante altre volte che sarei entrato in una redazione di giornale avrei rivisto quella noia negli occhi di molti altri futuri colleghi. Andrea Purgatori no, aveva l’aria di un uomo curioso, soddisfatto e interessato, perfino di rispondere alle mie scontate domande di sedicenne.
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