Entra in carica il cattolico Joe Biden alla Presidenza degli Stati Uniti ed è utile chiedersi come sia possibile. Domanda non scontata, non peregrina, non «sciocca» se si considera che in 245 anni di indipendenza e democrazia, i presidenti cattolici sono stati solo due – Kennedy e Biden, appunto.
In mezzo c’è il Concilio Vaticano II che cambia i termini della questione della «libertà religiosa» anche grazie ad un libro del gesuita John Courtney Murray del 1960 che ha spiegato e accompagnato la trasformazione voluta dal Concilio.
La casa editrice Morcelliana di Brescia che oggi ripubblica il testo di Murray in una nuova versione con l’introduzione di Stefano Ceccanti, costituzionalista (e senatore del Pd).
Kennedy era contestato perché, da cattolico, secondo alcuni suoi critici protestanti, non avrebbe poi potuto, una volta Presidente, rispettare le istanze di libertà religiosa – che la Chiesa storicamente condannava – e non avrebbe goduto di reale autonomia dalla gerarchia ecclesiastica cattolica – che gli avrebbe imposto una sorta di mandato imperativo. «Il testo di Murray – scrive Ceccanti – viene poi non casualmente tradotto in italiano nel 1965, nell’anno chiave del confronto in sede conciliare, da Morcelliana, editrice montiniana, col titolo Noi crediamo in queste verità. In altri termini l’edizione originale accompagna un’elezione presidenziale, la traduzione accompagna l’evoluzione conciliare».
Oggi è attuale una rilettura di fronte ai rigurgiti del tradizionalismo religioso cattolico (o pseudo tale…), che vorrebbe restringere i confini dell’appartenenza politica, con la ricorrente richiesta ai vescovi (e taluni ci cascano in pieno…) di dare la comunione ai democratici cattolici, perché «abortisti» per definizione.
Mettiamola così, sul piano storico: «La separazione tra Stato e Chiesa veniva inserita nel I emendamento, anche perché necessaria e funzionale ad assicurare che nessuna visione particolare delle relazioni Stato-Chiesa in vigore nei singoli Stati potesse affermarsi a livello federale a detrimento delle (diverse) concezioni statali. Successivamente, solo con il XIV emendamento del 1868 si stabilì che il I Emendamento giungesse a tutelare i cittadini anche dai singoli Stati».
Fin qui Ceccanti. C’è da aggiungere che solo con il 1965, con la fine del Concilio Vaticano II, la Chiesa si apre al riconoscimento della libertà religiosa, prima negata. E dunque si comprende l’importanza del testo di Murray in chiave politico-sociale negli usa, per avere anticipato delle idee affermate poi dall’assise conciliare. Idee che sono alla base del discorso di Paolo VI alle Nazioni Unite (ottobre 1965) e resero possibile la Dichiarazione di Helsinki del 1975 su libertà religiosa e diritti umani, firmata dalla Santa Sede.
Del resto il Sillabo di Pio IX, un secolo prima (1864), rifiutava la separazione tra Chiesa e Stato, mentre con il Concilio si apre tutta un’altra strada che vede la Chiesa muoversi in un’ottica di dialogo e collaborazione. Nel 1960 si trattava di idee nuove ed innovative, e ricordarcene ci fa comprendere meglio il presente e la strada percorsa sotto il segno della tolleranza, dell’apertura, della fine del regime di «cristianità».
Conclude Ceccanti, venendo all’oggi: «Nessuno, se non piccole frange tradizionaliste, ha più riproposto modalità confessionaliste nel rapporto tra Stato e Chiese, ma tuttavia in nome del libero esercizio della libertà religiosa da parte della Chiesa cattolica si è spesso proposta una retorica antirelativista in nome di astratti principi non negoziabili a cui conformare la legislazione civile, retorica che più che anti-relativista era in realtà anti-pluralista».
Ma soprattutto «senza Murray sarebbe stato impossibile superare il doppio standard a cui conduceva la tesi dello Stato cristiano (confessionalismo dove si era maggioritari e richiesta di libertà dove minoritari), (…) che esponeva Kennedy all’accusa di volere un’egemonia cattolica nel caso di vittoria e, quindi, sarebbe stato impossibile scrivere limpidamente nell’enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco: «Come cristiani chiediamo che, nei Paesi in cui siamo minoranza, ci sia garantita la libertà, così come noi la favoriamo per quanti non sono cristiani là dove sono minoranza» (n. 279). Chissà che le idee di Murray, nel momento in cui il cattolico Joe Biden si insedia alla Presidenza della più importante democrazia consolidata del mondo, non siano anche stavolta di ispirazione per accompagnare le evoluzioni della Chiesa cattolica, della società e della politica, negli Usa e altrove, dopo tante incomprensioni e rigidità del periodo precedente».
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