Porto il marchio, a Napoli, del “renziano” doc. Non è mai stato per me un problema, né motivo di vanto, né di vergogna, tanto nei momenti fortunati quanto in quelli tristi. Semplicemente, mi sono sempre infischiato delle etichette, che hanno solo la funzione di fissare confini, campo, contendenti e uccidere pensiero, confronto e discussione.
In tanti a Napoli, in queste ore, mi chiedono perché abbia deciso di sostenere Antonio Bassolino nella corsa a Palazzo S. Giacomo. Voglio spiegare perché, dal mio punto di vista, la meraviglia dei fan e quella dei detrattori di Bassolino (praticamente di tutti) sia fuori luogo. Ai primi vorrei dire che non c’è stata alcuna illuminazione sulla via di Damasco, ai secondi che non c’è stato alcun “tradimento” delle magnifiche sorti progressive del riformismo, parola che senza scelte chiare rappresenta un contenitore vuoto, un gigantesco ombrello che ripara dalle responsabilità e sotto il quale può accadere di tutto, può infilarsi chiunque. Ho ragionato e scelto, fatto valutazioni politiche. E sono convinto siano assolutamente coerenti con la mia storia.
Primo, il buon vecchio pragmatismo, che dovrebbe essere il metodo dell’autentico riformista: Napoli ha bisogno di un buon Sindaco, di qualcuno che conosca la città e la macchina amministrativa e che sappia farla funzionare. Bassolino ha dimostrato di esserlo. Di più, in quella sua stagione che pure fu di ricostruzione dalle macerie della cosiddetta prima Repubblica (caduta sotto il macete giudiziario) e da una crisi economica durissima, Bassolino seppe mettere in relazione le anime nobilissime e plebee di Napoli (talvolta in guerra, tali altre indifferenti tra loro) producendo dinamiche positive e restituendo una identità minima condivisa alla città. Dopo i 10 anni devastanti del populista proto-grillino de Magistris, serve ancora una ricostruzione, serve riempire le buche, rammendare le falle della macchina amministrativa, ritessere i fili di una identità condivisa che non riduca la sua narrazione a 10 metri di lungomare e a due cartoline dal festival della pizza.
Secondo, Bassolino è un simbolo, che a lui piaccia o meno. Qui, proprio qui, a Napoli, in Campania, e proprio contro di lui, si è misurato e ha preso forma il fortunatissimo populismo italiano.
Qui, in questa “palestra” (ancora più che in Val di Susa con i NO-TAV) i meet-up e tutte le forme della cosiddetta democrazia diretta, cavalcando la crisi politica della stagione bassoliniana (e lungi dall’offrire alternative credibili alle emergenze che quella crisi aveva prodotto, anzi) hanno forgiato l’anima originaria e militante del Movimento 5 Stelle, fissato un “metodo” e, non a caso, partorito gran parte della sua “classe dirigente” nazionale, quella che conta.
Qui, proprio qui, a Napoli, quel rigurgito populista e manettaro ha generato il fenomeno de Magistris, anche lui magnifico gadget del marketing “travagliesco”, vuoto rappresentante del brand “honestà”, che nulla ha a che vedere con l’etica pubblica (pensiamo solo alla incredibile candidatura alla Presidenza della Calabria mentre la crisi covid mette in ginocchio la città) né con l’onestà, ma molto con certo moralismo giustizialista a due tempi: spietati con i nemici, indulgenti con gli amici.
Qui, proprio qui, c’è l’epicentro del populismo italiano che, a più ondate, ha travolto anche la politica e le istituzioni nazionali, producendo, “why not?”, nulla. Peggio: macerie.
Qui, un pezzo della politica “tradizionale” ha cinicamente “surfato” quelle ondate illudendosi di potersene avvantaggiare politicamente, anche per sbarazzarsi dell’odiato Antonio ed è stata, a sua volta, travolta. Una lezione da tenere bene a mente.
Ma qui, e proprio qui, ci sono i 17 anni di calvario dell’ultimo Sindaco di Napoli e 19 assoluzioni con formula piena.
Da qui molto è cominciato e qui, 20 anni dopo, sarebbe bello, utile, necessario chiudere il cerchio e tornare alla Politica mancata. Un “Ritorno al futuro” per Napoli e non solo.
Dove dovrebbe scegliere di stare oggi un riformista, un progressista, uno che crede nella giustizia e non nel giustizialismo, nel primato della politica, un “renziano”, un (ex)castano con gli occhi scuri, un papà, un napoletano orgoglioso, allergico al populismo e ai suoi sotto-prodotti?
Con il risultato debole dell’ orrendo tavolo nazionale del (cosiddetto, dio ci scampi) centro-sinistra (ma poi chi è centro e chi sinistra?), il quale serve esattamente a mettere insieme quel che resta dei progressisti (PD) e i populisti (5 stelle)? Con quell’ assembramento pericoloso che usa le città, le disastrate Napoli e Roma in particolare, come un “laboratorio” per l’ennesimo esperimento, come una palestra per gli estemporanei esercizi cerebrali bettiniani? No, non credo.
Forse ancora con un magistrato, peraltro in servizio effettivo e proprio dove si è candidato, un cortocircuito istituzionale vivente clamoroso, uno schiaffo ai principi della democrazia liberale ambulante, il quale cerca disperatamente di darsi una parvenza “civica ” mentre è di fatto il candidato della destra? No grazie.
Dovrebbe ancora arrendersi, rinunciando a qualunque ipotesi di autonomia, ad una mediazione grigia, non troppo sgradita al potere regionale? Con tutto il rispetto, credo sia anche arrivato il momento di riaffermare con forza (e senza bandana) che Napoli è Napoli, una protagonista italiana ed europea, e non una provincia. Né di Roma, tanto meno della bella Salerno.
Qui c’è un candidato autonomo, ormai libero, capace di interlocuzione istituzionale, in pace con la sua storia (e forse anche con i suoi errori), con nessuna altra ambizione che non sia Napoli. È già in campo, sembra più in forma adesso che 20 anni fa e se vorrà costruire davvero una squadra innovativa come dice di voler fare, a maggior ragione merita fiducia.
Si chiama Antonio Bassolino e per questi motivi lo sosterrò.
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