The End è un film anfibio, girato con la tecnica di Chazelle ma con lo stile di Lanthimos. Comincia come un dramma borghese ambientato in una caverna che c’entra ben poco con Platone ma che assomiglia piuttosto alla pancia della balena di Pinocchio (i segni delle frese sulle pareti della miniera di salgemma di Petralia Soprana sembrano le costole di un animale colossale).
“Le case sono scese tutte sotto il mare” recita un verso di Eliot in apertura del film. E così Joshua Oppenheimer prende una famiglia ricchissima e la sprofonda nel sottosuolo (o nella pancia della balena) esasperando il carattere dei personaggi a tempo di ragtime e ballad. Perché The End è anche un musical, con tanto di tiptap, dove si sclera e si canta, si danza e ci si uccide; tutto nell’acquario della famiglia perfetta che in un futuro post-apocalittico si è rifugiata nel proprio terrario domestico, una specie di teatro di posa che è l’incrocio tra una pinacoteca e un catalogo Ikea.
La madre-turchina (Tilda Swinton) sembra venuta fuori dal brodo primordiale della piscina dove nuota ogni mattina come uno strano animale ctonio, perseguitata dal senso di colpa per aver abbandonato la sua famiglia d’origine in balia dell’apocalisse. Il padre-Geppetto, invece, è un ex petroliere che si prepara a morire coltivando una memoria falsata dal suo stesso Pinocchio (George MacKay) il quale, in veste di biografo, riscrive il passato controverso del padre reinventandolo per come possibile. Tutto sembra procedere alla perfezione, finché una ragazza (Moses Ingram) non irrompe nel loro paradiso artificiale. Allora la routine della famiglia felice si infrange, le ipocrisie del padre ribollono, lo sguardo di vetro del figlio si incrina, la madre non riesce più a mentire. Come in Teorema di Pasolini, sarà l’ospite a dare le carte mentre la famiglia non potrà che stare al gioco.
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