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“Vatti a prostituire” e l’arbitra sospende il match

Avvocato, Giornalista Pubblicista e Presidente "Consiglio per la Parità di Genere"
“Vatti a prostituire” e l’arbitra sospende il match

Succede che una giovane arbitra (si dice così?) di basket è stata duramente offesa durante un match. “Vatti a prostituire!” le ha gridato una tifosa dagli spalti e la diretta interessata è scoppiata a piangere interrompendo la partita. Bagarre sessista con tanto di chiusa del Governatore (della Regione) che ne ha chiesto il Daspo, ossia una grave misura sportiva – interdittiva – punitiva.

Non è la prima volta che le donne dello sport siano offese con riprovevoli commenti sessisti: solitamente invitate a tornare in cucina (“vai a fare gli gnocchi!” “vai ai fornelli”) o più genericamente a casa (“torna a casa a fare la mamma!”, “vai a lavare i pavimenti”) se non proprio a mostrare le proprie fattezze (“mostraci le tette”, “che culo!”), la violenza verbale le esorta in ogni caso a levarsi, togliersi da uno spazio che alcuni, evidentemente poco estimatori delle capacità femminili, vorrebbero ancora ad appannaggio esclusivamente maschile.

Vicende ataviche quanto la presenza delle donne nello sport tant’è che, nel 2023, è nata l’iniziativa #MAIPIÙ su proposta della Divisione di Serie A di calcio femminile quale campagna permanente contro la violenza di genere.

Giustissimo, la violenza è sempre deplorevole.

Detto ciò, è d’obbligo però interrogarsi su cosa accada nell’emisfero sportivo maschile per comprendere se tante ingiurie siano appannaggio esclusivo delle donne, come pare indichino tanti articoli circolati in questi giorni, o delle circostanze sportive in sé. In altri termini: solo le sportive donne vengono offese o anche gli uomini? E se anche i secondi, quale è la loro reazione?

Non serve la sfera di cristallo per cercare risposta: la violenza verbale (e a volte non solo quella) è purtroppo notoriamente strutturata in moltissimi supporters di tutti gli sport (soprattutto quelli di squadra) e a tal proposito, negli ultimi anni sono state imposte gravi conseguenze almeno a punire quegli eccessi verbali considerati “maggiormente gravi”: il razzismo ad esempio. E’ capitato infatti che alcuni giocatori di colore siano stati sbeffeggiati come scimmie e quindi invitati a tornare a vivere nelle foreste. E gli arbitri? costantemente chiamati “incompetenti” (solo con appellativi diversi).

In alcuni casi viene inflitto il Daspo, ma in tutti gli altri casi? Il mondo sportivo sopporta, abbozza, finge di non sentire e né vedere dove pare addirittura consueta la tolleranza al binomio “passione – esagerazione” e così basta una domenica allo stadio per collezionare epiteti di ogni genere. Ma vale lo “show must go on” e lo show va avanti. Sopra tutto e tutti e gli epiteti vengono derubricati a ragazzate.

Il confronto fra la tolleranza ammessa negli sport maschili e femminili è presto fatta e il responso che ne esce è di un mondo di donne sportive più fragili e sensibili che difronte all’offesa si ferma. Non ci sta, ne ripudia. In alcuni casi piange.

Ho sempre sostenuto i diritti delle donne ma in questo caso mi rifiuto di pensare che le sportive siano delle categorie protette che meritano un’attenzione maggiore o comunque differente nello sport in generale. Se regolamentazione ci dev’essere (e il rigetto della violenza da parte delle donne potrebbe essere un fertile incipit), di questa ne devono beneficiare tutti e non solo le sportive. Così si può (e si deve) allineare la gravità dell’offesa razzista a quella sessista ma attendersi un’attenzione specifica, di correttezza lessicale di genere, non fa gli interessi delle stesse donne.

Ogni cosa ha il giusto luogo per esprimersi e il dibattito deve sportarsi nelle sedi competenti e fino a quando ciò non accadrà, mi spiace doverne bacchettare, il mach non si interrompe e non si piange.

The show must go on.

RIFOCAST - Il podcast de Il Riformista

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