Caldo e vino, la storia di una ragazza violentata in camera sua: due giorni a letto e il racconto a una sconosciuta

Questa è la rubrica della Posta della Prevenzione, nata per dare una voce a chiunque voglia condividere esperienze di discriminazione, violenza e rinascita. Questo è il luogo dove tutte quelle storie troppo dolorose per essere raccontate ad alta voce, trovano uno spazio sicuro e protetto dal più assoluto anonimato. Vogliamo leggere la vostra storia, qualunque essa sia, dandole lo spazio che merita di occupare. Scriveteci a: postaprevenzione@gmail.com

Sono Sara.
Questa è una storia che non ho raccontato a nessuno. Fino ad oggi non mi sono mai domandata davvero il perché. A volte ho anche pensato che io quella storia, raccontata al tavolo di un bar, non l’avrei mai nemmeno voluta sapere.
Siamo tra nuovi colleghi e in una serata che si preannuncia fatta di silenzi e di discorsi per lo più lavorativi, tutti si affidano, per far defluire il flusso della conversazione, ai bicchieri di vino. Il volume delle voci al tavolo si alza e comincia a formare un tutt’uno con quello della musica in sottofondo del locale. Siedo vicina ad una delle altre ragazze che fa parte del nuovo gruppo di colleghi, sorride, mi fa domande, e penso che ha un viso molto dolce, sembra una di quelle persone che non solo pone la domanda ma presta attenzione anche al contenuto delle risposte.
Rimaniamo sedute in disparte dal resto del gruppo che si alza a prendere da bere e non posso fare a meno di notare che, ad un certo punto, il suo sguardo si spegne e la sua intera espressione cambia. Le chiedo se è tutto okay, e lei dopo un attimo di silenzio mi risponde con un’altra domanda: “Ti posso raccontare una cosa? Non è felice, non ti sentire obbligata”. Io, veterana di conversazioni profonde su amori finiti ai tavolini dei bar, ero pronta a prendere il peso delle confessioni, e a dispensare lunghi pratici consigli.

La storia però, è lontana da quello che io immagino rientrare nella mia categoria di ‘non felice’.
“La seconda sera che sono arrivata in città io e gli altri coinquilini siamo usciti, stavamo festeggiando l’inizio della nostra convivenza, e abbiamo iniziato a bere ad un bar. Lì, un conoscente di uno di loro ha cominciato a parlarmi e a rivolgermi attenzioni. Dopo qualche ora, per il caldo credo, la testa ha cominciato a girarmi e lui si è proposto di riaccompagnarmi verso casa. È entrato dopo di me, fino alla camera, e lì ha cominciato a spogliarmi. Ero impietrita, non riuscivo a muovermi, a controllare un solo muscolo. Riuscivo solo a dire no, implorando rassegnata a ciò che inevitabilmente stava già accadendo, mentre piangevo”.

Avevo ascoltato quel racconto, tra la musica e le risate in sottofondo. Non è così che succede mi ripetevo, queste cose non si raccontano così, in un bar ad una sconosciuta. E invece le avevo incollate addosso, su tutto il viso, senza sapere come staccarmele di dosso, come cambiare espressione; la mia mente cercava solo delle ragioni per le quali avessi frainteso tutto. Sono immobile, e lei in silenzio non mi guarda, e non procede con la storia. Aspetto, ci deve essere un finale: la chiamata alla polizia, gli amici, la famiglia, l’ospedale, la denuncia. E invece, niente.
Ha solo preso tutte le sue cose e si è trasferita in una stanza di un bed & breakfast, mentre cerca un’altra sistemazione. Mi confessa di non averlo detto a nessuno fino ad allora, se non a me, la sconosciuta seduta inutilmente muta davanti a lei. È rimasta a letto due giorni prima di riuscire a lasciare la camera.

Non ha parlato con la sua famiglia, non voleva farli preoccupare e sapeva la reazione l’avrebbe forzata a ritornare dalla casa che aveva appena lasciato per finalmente realizzare i suoi sogni. Una nuova città, il nuovo lavoro, le promesse di un nuovo inizio.
Mi dice che sta bene, non le serve nulla.
Ho solo provato a ripetere mi dispiace, non ho saputo prendermi la responsabilità di metà di quelle parole. Avevo ascoltato quella storia come una macchina, codificando le informazioni, come se mettendo assieme le informazioni di una storia d’amore finita male per poter poi dare il migliore consiglio ma, non ho saputo elaborare nemmeno una parola. Non ho saputo dire niente.
Non riuscivo ad ascoltare la parola stupro. Vorrei tornare indietro e sapere cosa fare, dire, in quelle situazioni, quelle che hanno segnato per sempre la vita di tutte coloro che hanno denunciato, e di quelle che rimangono all’oscuro. Chissà a quanto ammonterebbe quel numero, chissà quanto farebbe paura sentire le storie dietro i sorrisi di tutte le persone che vivono nel silenzio.