Accusato di sionismo. Preso a calci e pugni mentre provava ad arginare la violenza dei pro-Pal in aula. Trasferito al pronto soccorso. La prognosi è di 7 giorni. Rino Casella insegna Diritto pubblico comparato all’Università di Pisa, e la prossima settimana è pronto a tornare in cattedra. «Non ho paura», giura. Anche perché i colleghi hanno deciso di scortarlo con una sorta di «cordone di sicurezza». Ma la preoccupazione resta alta: il livello di intolleranza ha raggiunto livelli allarmanti.
La preoccupa questo clima?
«Assolutamente no. I miei colleghi si sono riuniti in Dipartimento e hanno deciso di accompagnarmi fisicamente in aula quando riprenderò le lezioni. È una grande dimostrazione: un attacco a me è un attacco a tutto il corpo docente, nel Dipartimento e nell’Università di Pisa».
Il virus della violenza ha infettato le aule accademiche. La situazione può sfuggire di mano?
«Può ripetersi una situazione come quella di martedì e può degenerare. Questa volta è toccato a me; poteva esserci un professore più reattivo, potevano esserci studenti che magari si scontravano più violentemente. Le aule universitarie non sono luoghi in cui si può importare violenza: sono luoghi fragili, strutturalmente votati ad altro. Un pronto soccorso, una scuola, un’aula universitaria sono strutture in cui la violenza – se viene sfogata – produce conseguenze terribili».
C’è anche un problema di ordine pubblico…
«Certo, perché non possiamo mica militarizzare un’università, mettere un poliziotto in ogni angolo. E poi che facciamo? Chiudiamo l’ateneo? È una questione culturale. Anche nel ’68 gli scontri fisici c’erano, ma all’interno delle aule erano piuttosto sporadici: erano luoghi sacri. Sono indignato: quell’attacco è un gesto che produce un dolore profondissimo. Sì, è una minoranza, ma una minoranza violenta. Il Rettore di Pisa ha manifestato solidarietà, non posso dire nulla, ma ha fatto scelte molto discutibili».
Ad esempio?
«Ha ricordato la chiusura della collaborazione con le Università israeliane Reichman ed Hebrew, e pochi giorni fa ha sostenuto pubblicamente l’iniziativa della Global Sumud Flotilla. Insomma, sono tutte iniziative molto politiche, che caratterizzano in modo molto politico le scelte dell’ateneo. Non vorrei che in qualche modo facciano credere ai violenti di essere legittimati e di poter agire in luoghi in cui godere di una certa impunità. Il Rettore sostiene di voler favorire il dialogo. Sì, ma bisogna stare molto attenti perché si può essere facilmente fraintesi».
Quale sarà il prossimo passo? Tira una brutta aria…
«Siamo alla follia collettiva. All’aeroporto si contestano quelli che vengono da Israele. Ma lo Stato ebraico è all’avanguardia per certe cure. Addirittura all’università c’è chi ha proposto di boicottare il nome “Israele”. Io, che studio e insegno Diritto pubblico comparato, dovrei dire “la Palestina”. Non dovrei dire “lo Stato di Israele”, presente nelle cartine geografiche. Dovrei dire “la Palestina”, perché lo Stato di Israele – a loro giudizio – non esiste. “È uno Stato coloniale e quindi non esiste”, dicono. Ma siamo alla follia!».
