“Castellitto non è De Filippo”, e scoppia la sagra dell’ovvio e del sacrilegio su Natale in casa Cupiello

È passato inosservato anche l’eterno dilemma “vi piace o’presepe?”. Una sorta di “essere o non essere” napoletano. Ossessione, dilemma, ricatto perfino di Luca Cupiello che non potrà mai avere altro volto che quello del suo inventore, autore, deus, spirito del Natale di ogni Casa Cupiello di tutti i tempi Eduardo De Filippo. E infatti la trasposizione televisiva dell’opera teatrale è stata smembrata, fatta a pezzi, criticata battuta per battuta, hanno urlato al “sacrilegio!”, quasi alla denuncia tra sputtanapoli e profanazione. Il presepe non è piaciuto, a prescindere, proprio come per Tommasino.

Napoli nun adda cagnà”, diceva Funiculì Funiculà, e quindi anche Cupiello e De Filippo. Intoccabili. Sergio Castellitto non all’altezza. Il regista Edoardo Angelis dovrebbe vergognarsi. La Rai (produzione con Picomedia) dovrebbe farsi perdonare, addirittura, si legge su alcuni commenti. E perché mai? Per aver portato in prima serata un’opera complessa, drammatica, lunga, un classico della letteratura e del teatro italiano? Un’impresa eccezionale nel suo non dover fotocopiare l’originale. E lo aveva detto anche lo stesso attore protagonista, Castellitto, al Corriere della Sera, “sono abbastanza umile per non lanciare sfide. Non mi sono confrontato con Eduardo, è inarrivabile”. E lo ha fatto a modo suo, pur tenendo ben presente l’originale. E tenendolo ben presente noi, il mito. Forse questo il problema.

La trasposizione a metà strada tra televisione e teatro a volte spiazza. La presenza degli esterni è un dettaglio in più – la neve cade sulla scalinata di Piazza Cardinale Sisto Riario Sforza, su via dei Tribunali, tra le più belle del centro storico di Napoli. La casa è oleografica, per via anche di una fotografia a tratti edulcorata. E la musica di Enzo Avitabile è quasi sempre commento. Il tutto regge bene i primi due atti per perdere colpi nel terzo, forse irraggiungibile quel picco drammatico. Il Natale in Casa Cupiello di De Angelis non deve fare impazzire per forza, ci mancherebbe. La sensazione è tuttavia quella del plotone: pronto a impallinare il primo vocalismo imperfetto del romano Castellitto, la prima scena mossa troppo velocemente o troppo poco velocemente, la battuta data diversamente. La querelle si è mossa sul tono della profanazione, dell’indignazione a prescindere, del sacrilegio.

Come a dire: è meglio l’originale. E grazie. Saranno stati migliori anche l’originale del Faust, della Celestina o della Tempesta. Eppure nei secoli si è arrivati fino a Romeo + Giulietta e ad altri esperimenti che – riusciti o meno – hanno portato avanti discorsi e messinscena. Quale il senso del racconto se non quello di portare di mano in mano il fuoco della storia, di una storia, di una città, di un ricordo e di un capolavoro che non potrà mai invecchiare. Che poi, aldilà delle banalizzazioni, e della facile indignazione: mica tutti i napoletani conoscono a memoria Natale in casa Cupiello, non tutti lo ricordano precisamente e a memoria. Probabilmente alcuni lo avranno scoperto o riscoperto per tutta questa querelle. E poi, altro segreto di Pulcinella: il grande pubblico non è abituato a vedere opere teatrali a casa, in tivù o streaming che sia, basta guardare i palinsesti, l’offerta delle piattaforme, la presenza su Youtube di numerose opere senza protezione e diritti per cogliere un mercato quasi inesistente – fatta qualche eccezione.

Martedì 22 dicembre 5 milioni e 636mila telespettatori, con uno share del 23,89% hanno visto il dramma su Rai1. Coraggio ampiamente ripagato. Se anche solo uno di questi invece di storcere il naso a prescindere ha scoperto o riscoperto quella storia, se si è incuriosito fino ad andare a rivedere l’originale, l’esperimento si può definire poi un successo. E, come diceva Italo Calvino, Natale in casa Cupiello avrà continuato a riverberare il suo ruolo di classico: un’opera che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.